Gravidanza e coronavirus: come cambia la quotidianità delle mamme

Gravidanza e coronavirus: come cambia la quotidianità delle mamme

Spesso passano dei mesi, in alcuni casi addirittura degli anni, prima che il test di gravidanza riveli l’arrivo di un bambino. In quel preciso istante si viene investite da un vero e proprio tsunami emotivo, a seconda del proprio vissuto, possono emergere soprattutto emozioni positive di gioia, speranza e fiducia. Sembra quasi di toccare il cielo con un dito, tutto ciò che fino a poco prima era solo desiderato, immaginato, fantasticato, ora esiste e sembra quasi che il mondo intorno cambi forma.

Il primo trimestre è un momento di shock e di improvvisa necessità di assestamento sotto nuovi equilibri. Da un lato ci sono i cambiamenti ormonali che possono creare alla donna alcune difficoltà come stanchezza, nausea, cambiamenti di umore, dall’altro la delicatezza di questa prima fase della gravidanza non consente pienamente alla donna di gioire dell’evento che le sta capitando. È sicuramente il periodo in cui è più frequente l’ansia che qualcosa possa andar male.  Vi sono inoltre le preoccupazioni circa lo stato di salute del proprio bambino. Stati d’animo molto comuni sono la preoccupazione che il bambino cresca nel modo adeguato, che non abbia malattie genetiche, malformazioni o altre patologie.

Ma cosa succede se a tutto ciò si somma l’incertezza e il cambiamento dettati dall’epidemia da Coronavirus? Come cambia la quotidianità di una donna in gravidanza durante la quarantena? Affrontare il periodo della gravidanza durante l’isolamento da coronavirus può essere difficile  per le mamme in attesa. Sicuramente il rischio più grande è quello di essere sopraffatti da pensieri negativi che generano una maggiore ansia.

Vivere la gravidanza in quarantena non è certo una prova semplice per le donne incinte e i loro partner. Sicuramente c’è da sottolineare la difficoltà che si sperimenta anche per effettuare semplici visite o esami di laboratorio,da cui spesso purtroppo i papà sono esclusi per via delle nuove disposizioni. A questo si aggiunge la paura costante di contrarre il virus proprio perché si frequentano maggiormente studi medici e di analisi. Inoltre, da non sottovalutare poi il disagio di sperimentarsi dipendenti dai partner e poco autonome, uscire per fare la spesa diventa un miraggio e non più la quotidianità! Così come diventa problematico uscire per una passeggiata, e addirittura impossibile fare un giro per i negozi..magari per entrare proprio in quelli che vendono abbigliamento da bambini…così giusto per sognare un po’!

Allo stesso tempo è utile cogliere di questa situazione anche il lato “positivo”. Intanto il primo passo per non lasciarsi sovrastare dall’ansia e lo stress che questi momenti di isolamento possono portare, è quello di focalizzarsi sul qui e ora. È importante pensare al presente, cercando di approfittarne e coglierne anche i lati postivi. È utile concentrarsi sul bambino, perché durante la gravidanza mamma e figlio riescono a creare una sintonizzazione particolare. In effetti questo tempo a casa può servire per comunicare più intensamente con il bambino, attraverso la voce o il tocco delle mani. È possibile riposare quando il corpo lo richiede così da assecondare i propri ritmi che sono ormai cambiati, senza però tralasciare di praticare esercizio fisico. Il movimento, così come la respirazione  oltre ad essere canali di comunicazione con il bambino, aiutano a ritrovare un po’ di benessere e ad entrare maggiormente a contatto con il proprio bambino.

Infine la necessità, dettata dalla quarantena, di condividere uno spazio e un tempo condiviso con il proprio partner permette di creare un’alleanza di intenti tra i genitori. In questi momenti può essere d’aiuto cominciare a immaginare quello che sarà, consolidando il gioco di squadra che la coppia farà successivamente. Parlare di come verrà gestito il bambino è un’occasione per rafforzare il rapporto e supportarsi reciprocamente. In questo modo anche i papà che a volte sembrano avere un ruolo marginale durante la gravidanza, possono invece vivere questa avventura con maggiore vicinanza e partecipazione.

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Ferite narcisistiche: quale nesso con l’autostima?

Ferite narcisistiche: quale nesso con l’autostima?

La mancanza di autostima genera uno stato di malessere,di disagio, di sofferenza… è vivere in uno stato di continua tensione, di ansia, di vergogna, di impotenza, di non valorizzazione delle proprie potenzialità… la mancanza di autostima è vivere con difficoltà…

L’autostima è la spina dorsale della nostra psiche , perché ci da forza  che ci mette nella condizione di affrontare  con spirito di intraprendenza, di pro attività  di ottimismo, di  audacia le sfide della vita. Tutto ha inizio con  il narcisismo primario. La parola narcisismo  spesso viene usata negativamente, ma il narcisismo è la costruzione della nostra identità. Ecco perchè quando soffriamo di carenza di autostima, dobbiamo parlare di ferite narcisistiche cioè viene a mancare quella pelle psichica che va a costruire il senso della nostra identità, il valore della nostra persona.

La prima e più profonda ferita narcisistica deriva da una sensazione di rifiuto della propria venuta al mondo, che può essere stata registrata già a livello intrauterino. Ad esempio madri depresse, poco empatiche  possono trasmettere un senso di rifiuto nei confronti del neonato. L’empatia è fondamentale per lo sviluppo dell’autostima del bambino poiché  se la madre sente ciò che sente il neonato, il bambini si sente accolto e compreso nei suoi bisogni.

Fin da bambini riusciamo a registrare nel nostro corpo il tipo di relazione che abbiamo avuto con i nostri genitori attraverso il linguaggio tonico-emozionale: quando ci sentiamo accolti noi ci sentiamo bene e c’è un rilassamento neuromuscolare che è alla base delle nostra vita intima. Quando ci possiamo abbandonare sentiamo che ci possiamo fidare ed affidare all’altro. In caso di tensione c’è invece una tensione neuromuscolare: il dolore ci fa provare rigidità. Quando non abbiamo provato la sensazione di accoglienza e di accettazione  proviamo vergogna, che ci dà un sensazione costante di disagio,di inadeguatezza, che c’è qualcosa di profondamente sbagliato in noi. Sentiamo di non avere diritto di non occupare un posto nel mondo che crea inibizione paralizzante fino a farci diventare quasi invisibili.

Il narcisismo primario deve poi trasformarsi in narcisismo secondario: si passa dall’autocentrismo all’allocentrismo. Il  bambino si apre alla realtà esterna e inizia una fase di diminuzione nella richiesta di attenzione su di sé, poiché si sente sempre più attratto da ciò che di diverso esiste al di fuori del suo ego. Questo avviene attraverso il rispecchiamento, costruiamo legami attraverso i modelli genitoriali, parentali ed educativi. La spinta ad uscire dal narcisismo primario ci viene fornita dall’ambiente esterno, se il bambino non ottiene questa forza centrifuga rimarrà centrato su di sé e avrà difficoltà di relazioni e dia accettare le logiche frustrazioni della vita.

Un’altra ferita narcisistica deriva dall’essere vissuti in ambienti dove non veniva valorizzata la nostra individualità e dove non si era sostenuti nello spirito di intraprendenza, con conseguente blocco dell’autonomia e della fiducia ad agire secondo le proprie potenzialità. I bambini amano essere curiosi perché  è in fin dei conti sono esploratori del mondo e se si è costantemente bloccati non si sarà in grado  di sviluppare la fiducia nei propri mezzi per potersi auto realizzare. Quando non veniamo confermati nel nostro “essere così come siamo”  siamo vittime di una deprivazione narcisistica.

Un terzo livello di ferita narcisistica deriva dall’aver subito umiliazioni e vessazioni dall’ambiente esterno ( spesso la scuola è il luogo dove ciò avviene più frequentemente).

Tutte queste esperienze di ferite si andranno a fissare nel nostro sistema limbico e riaffioriranno ogni volta che si ripeteranno esperienze simili al trauma subito. Un percorso terapeutico può aiutare la persona a contattare il vero Sé poichè le persone soffrono quando non sono autentiche.  Esprimersi e comunicare con autenticità indica uno stato di salute emozionale e questo ci permette di conoscere davvero chi siamo rafforzando la nostra identità sviluppando quindi  la nostra autostima.

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Erotismo femminile e maschile: quando diventa arte.

Erotismo femminile e maschile: quando diventa arte.

Le forme del desiderio maschile e femminile sono diverse tra loro. L’erotismo femminile ha la caratteristica della continuità, mentre l’erotismo dell’uomo è discontinuo. La donna ha bisogno di essere unita, cercata, desiderata sempre, vuole l’idillio, l’intimità profonda, immagina la vita in comune come tempo per realizzare la continuità e completezza erotica.

L’uomo invece, dopo lo splendore dell’incontro ha bisogno di allontanarsi. Può dispiacergli di lasciare l’amata ma si porta con sè un profondo senso di pienezza, è rigenerato, compiuto, felice. La donna, invece prova un fremito e un inquietudine profonda connessi al senso di perdita L’erotismo maschile ha un inizio e una fine, egli sa che tornerà alla vita quotidiana.

Oltre che di continuità la donna ha bisogno di prossimità, il suo erotismo ha un aspetto  “mondano”, al contrario di quello maschile che tende ad essere privato e più concentrato sul canale visivo. La donna ha bisogno di essere amata in modo continuo ( ricevere fiori, attenzioni, messaggi quando il suo uomo non c’è) e contiguo (a lei serve sentire la voce dell’amato che la chiama, l’odore della pelle, la potenza muscolare).

In questo momento storico le differenze culturali tra uomini e donne si sono attenuate, e più che confrontare le reciproche differenze, essi cercano ciò che li accomuna: molte donne sono esperte sessualmente ,prendono l’iniziativa, occupano ruoli di potere; gli uomini dal canto loro si depilano, si curano, si prendono cura dei figli. Forse per la prima volta, ciascuno, assumendo il ruolo dell’altro, si osserva a fondo per capirsi. Il distacco maschile, che allontana per guardare e vedere, porta la donna a vedere, a mettere a fuoco l’uomo come oggetto, quindi come persona desiderabile e a metter a fuoco se stessa, la su identità: al di là della famiglia, la sua esistenza come “individuo”è profondamente appagante?Questa domanda è importante non solo per sé, ma anche per il rapporto di coppia.

Se l’uomo si allontana la donna può vederlo con gli occhi delle altre donne con cui egli si relaziona in ambito sociale e lavorativo; questo alimenta il suo bisogno di essere al centro delle sue attenzioni, dunque la sua arte seduttiva. L’erotismo femminile è anche affanno, paura di non essere amata, bisogno di sentirsi cercata sempre e ancora e ancora. La tensione mette in moto fantasie erotiche. La continuità dell’erotismo femminile suscita nell’uomo una forte attrazione, ma anche inquietudine e così la discontinuità dell’eros maschile .

Il dongiovanni che esaspera la discontinuità  e cerca ossessivamente la diversità di ogni donna, alla fine è insoddisfatto e non riesce a raggiungere un piacere profondo in grado di rilassarlo. Di donna in donna non trova qualcosa in più, ma solo di diverso. L’organismo umano ha bisogno da un lato di permanenza e radicamento, ma dall’altro lato di novità e di cambiamento, forze generative che danno pienezza alle relazioni.

All’interno della coppia il grande erotismo è possibile solo se uomo e donna portano fino in fondo sul confine ciò che è specifico del loro sesso. Questi due erotismi così diversi si possono completare a vicenda. L’arte erotica è quando ciascun partner fa esattamente ciò che piace a lui e, ciononostante fa ciò che piace all’altro, quando l’espansione del proprio erotismo avviene attraverso la sintonizzazione con l’erotismo dell’altro.

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Chi trova un amico trova un tesoro…ma è sempre vero?

Chi trova un amico trova un tesoro…ma è sempre vero?

Chi trova un amico trova un tesoro… Recita così un vecchio proverbio, di vero c’è che chi trova un vero amico trova una grande risorsa per il proprio benessere psicologico. L’amicizia tra due persone o all’interno di un gruppo è una risorsa immensa. L’amicizia si basa sull’aiuto reciproco, sul sapersi mettere da parte per lasciare spazio “emotivo e psicologico” all’altro. L’amicizia è sinonimo di fedeltà e di felicità. Tutto questo non può che far bene. Ma come tutte le cose, a volte, dietro ad un comportamento si cela qualcos’altro e l’amicizia non fa eccezione.

Spesso non siamo circondati da buoni amici ma solo da persone che ci usano, ci manipolano oppure da persone a cui non possiamo affidarci perché l’amicizia vuol dire anche fiducia.

Quando inizi a frequentare una persona in amicizia dovresti stare attento se questa ti cerca solo quando gli serve qualcosa, se cerca di manipolarti, oppure se ti cerca quando si sente solo e non ha nessuno con cui uscire. Questi sono campanelli d’allarme che non dovresti mai sottostimare, perché colui che stai frequentando non ha le caratteristiche per diventare una persona fidata ed essere un potenziale amico.

Vediamo quali sono le persone da cui è meglio stare alla larga evitando di farle entrare nella cerchia delle amicizie.

I bugiardi e le persone false. Tutti abbiamo raccontato bugie nella nostra vita, ma i bugiardi patologici, cioè quelle persone che creano un mondo di menzogne, sono persone che è meglio evitare. Anche le persone false, quelle che non sono sincere, è meglio non farle rientrare nella cerchia delle amicizie. I bugiardi patologici e le persone false di sicuro prima o poi ti feriranno e lo faranno pienamente consapevoli di ciò che stanno facendo. Per loro non sei importante e non hanno nessuna empatia nei confronti degli altri, perché sono troppo concentrati a mantenere alta la propria autostima.

I manipolatori. Chi sono le persone manipolatrici? Sono tutte quelle persone che cercano, con l’inganno, l’adulazione e varie strategie, di farti fare quello che vogliono loro e non permettono di esprimerti per quello che sei. È sempre meglio stare lontani dai manipolatori perché non c’è nulla di più brutto di essere manipolati e non esserne consci. Nessun manipolatore potrà mai dimostrasi un vero amico perché  l’amicizia non si basa sulla manipolazione.

Gli indiscreti. Le persone indiscrete o, se mi passate il termine, i “pettegoli” non sono proprio degli amici. Come sempre bisogna fare delle distinzioni, perché a tutti è capitato di dire qualcosa che era meglio non dire sul conto di qualcun altro. Questo non vuol dire essere pettegoli, perché il vero maldicente è quello che cerca di farsi notare e cerca di diventare importante solo attraverso il pettegolezzo. I pettegoli sono quelle persone che ti fanno credere di essere tuo amico solo per carpirti dei segreti e, successivamente, dirlo agli altri perché chi possiede un segreto ha un potere. Vogliono il potere e lo ottengono a scapito degli altri.

Le persone negative croniche ed i pessimisti. Chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Forse non è sempre vero ma di sicuro noi apprendiamo molto per imitazione. Questo sistema di apprendimento è molto più forte di quanto tu possa immaginare. Per questo motivo è meglio stare lontani dalle persone negative e pessimiste in modo patologico perché si dimostreranno vampiri d’energia e l’energia la prenderanno da te. Queste persone non ti permetteranno di crescere e di aspirare a qualcosa di più elevato perché, come dico sempre ai miei pazienti, non è importante farcela ma credere di farcela.

Per concludere, voglio dirti che un vero amico lo riconosci perché ti accorgerai di lui lungo il tuo cammino. Ti accorgerai che è sempre stato al tuo fianco, nei momenti belli e in quelli brutti. Quando ne avevi bisogno, sapevi che potevi farci affidamento e non ti ha mai chiesto o detto qualcosa per il semplice tornaconto personale. Un vero amico è quella persona che sa fare un passo indietro quando serve ma è sempre pronto a tenderti la mano.

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Il  copione di vita nella favole dell’infanzia

Il copione di vita nella favole dell’infanzia

Nella vita di ciascuno, gli eventi drammatici e i diversi ruoli che vengono appresi, approvati e poi recitati,sono all’origine tutti determinati da un copione. Un copione psicologico ha una straordinaria somiglianza con un copione teatrale. Entrambi hanno un determinato cast di personaggi, un dialogo, atti e scene, temi e complicati intrecci  che si snodano verso un momento culminante e terminano con il calare del sipario. Il copione psicologico è un programma di vita di una persona che ne stabilisce la meta e il modo di raggiungerla; è un dramma che la persona recita compulsivamente, anche se può esserne vagamente consapevole. Il dramma della vita inizia dalla nascita, le istruzioni del copione vengono poi programmate attraverso le transazioni tra genitori e bambini. I ruoli che generalmente si sceglie di portare in scena sono tre: Vittima, Persecutore e Salvatore. Crescendo, il bambino impara a recitare una di queste parti: eroi, eroine, malvagi, vittime e salvatori e inconsciamente cerca altre persone che recitino i ruoli complementari. Il copione di una persona  si riflette spesso in favole nelle quali compaiono non solo i fondamentali ruoli manipolativi ma anche la trama secondo cui questi ruoli vengono recitati. I persecutori delle fiabe sono impersonati per lo più da matrigne cattive,streghe, orchi, lupi feroci, draghi o altre bestie feroci. Le vittime sono ranocchie, trovatelli, belle addormentate, piccole fiammiferaie, brutti anatroccoli e altri piccoli infelici. I salvatori sono fate buone, generosi folletti, maghi o principesse e principi affascinanti. Per poter essere salvata, una vittima ha bisogno di un salvatore. Una famosa favola in cui è evidente la funzione complementare di vittima e salvatore è la fiaba La Bella e la Bestia. La Bella a differenza delle sorelle egoiste, non pretende nulla per sé e quando il padre cade in rovina si sacrifica, facendo anche i lavori più umili. Quando il padre viene rapito dalla Bestia deve accettare di consegnarle sua figlia. Benché estremamente brutta la Bestia è molto gentile (il bravo ragazzo) e quando Bella si ammala, la sposa…ed ecco che accade il miracolo: La Bestia si trasforma in un incantevole principe. Una giovane donna che abbia questo copione, si costruirà l’idea, tratta dalle prime esperienze con il padre, che tutti gli uomini siano bisognosi della sua devozione. Una Bella moderna può quindi scegliere un marito “indegno”, una “bestia”, che può essere di sgradevole aspetto,alcolizzato, drogato, pieno di debiti, o nei guai con la legge. Allora Bella scopre che la magia non avviene più e può scegliere o di sacrificarsi e restare con la Bestia, o divorziare e cercare un’altra Bestia da salvare. Da parte sua la Bestia può aspettare un nuovo Salvatore o prendere l’iniziativa e la responsabilità della propria vita.

Un altro classico delle fiabe è Cenerentola, la vittima che si offre a fare da serva in casa ed è circondata da persone crudeli. Il suo primo Salvatore è una fata madrina che grazie ai suoi doni le permette di andare alla festa. Qui Cenerentola incontra un altro Salvatore: il principe. Una cenerentola moderna che reciti la parte di perdente, accetta per lo più un lavoro che lei stessa considera  servile, facendo ciò che riconosce di competenza altrui. E si convince che se avesse più soldi, vestiti migliori, se frequentasse posti più in potrebbe conquistare un principe e vivere una vita migliore. Le moderne Cenerentole sono coloro che sono incastrate in un lavoro che non piace aspettando un principe che forse non arriverà mai.

C’è poi la favola del Principino storpio,dove il principino a causa di una sua deformità viene rilegato in una torre, qui arriva una fata che gli regala un orologio ch egli permette di ” prendere il volo”  e viaggiare verso terre sconosciute. Il Principino moderno può essere chiunque non si senta totalmente accettato, chiunque senta di non appartenere a niente e nessuno e che può trovare rifugio nella droga, nell’alcool o in qualsiasi altra dipendenza che assomigli all’orologio della favola.

Nella vita quotidiana c’è chi sceglie di isolarsi come Robinson Crusoe, chi lotta contro i “mulini a vento” come Don Chisciotte, chi “vola” al salvataggio di tutti come Superman, chi si rifiuta di crescere come Peter Pan, chi si trova continuamente coinvolto in situazioni banali o drammatiche come la prima donna di un melodramma.

E tu da quale favola ti senti maggiormente rappresentato? Quale personaggio preferisci? Prova a ricordare la favola che durante la tua infanzia più ti piaceva, spesso è quella in cui ci identifichiamo e sulla quale abbiamo costruito in nostro copione di vita.

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Madre e figlio maschio: come nasce il complesso materno

Madre e figlio maschio: come nasce il complesso materno

Un forte complesso materno si sviluppa quando la madre è il genitore che lascia nel figlio la maggior impronta di sé. Ciò non significa che la madre sia effettivamente la personalità più forte, può semplicemente significare che il figlio ne rimanga più colpito o che si senta più vicino a lei che non al padre. Se l’influenza materna è positiva, il figlio sviluppa un complesso materno positivo; se invece l’influenza è negativa, ne deriverà un complesso materno negativo. È importante saper che ogni uomo sviluppa un complesso materno sia esso negativo o positivo, e che in questo non vi è nulla di patologico. Il complesso rappresenta la prova del modo in cui un uomo ha reagito ai propri genitori. Secondo questo modello organizzerà poi il proprio modo di reagire al sesso opposto.

Di solito il complesso si manifesta negli uomini sotto forma di fantasie romantiche, irreali, per lo più sessuali. È identificabile, per esempio nel corso della pubertà, quando i giovani, da molto attivi,diventano improvvisamente passivi e sognanti. È come se non fossero presenti. I loro risultati calano drasticamente  e viene da chiedersi dove è finito il ragazzo che tutti conoscevamo. È per così dire inchiodato a fantasie sessuali. Si tratta di un passaggio obbligato per quell’età, ma se l’adulto rimane bloccato a questo stadio e continua ad indulgere nelle fantasie sessuali, perde la capacità di prendere in  mano la propria esistenza, perde la volontà. Perde la sua efficienza maschile vivendo una vita irreale.

Quando un uomo ha avuto un rapporto troppo stretto con la madre, specialmente nel caso di un rapporto positivo, un uomo il cui femminile è rimasto imprigionato nel complesso materno, tende ad idealizzare le donne, vede in ogni donna la Beatrice di Dante, o la Vergine Maria. Non è in grado di avvicinare una donna nella vita di tutti i giorni, di andarle incontro con le sue parti inferiori, con la sessualità. Gli uomini di questo tipo non riescono a vivere i due aspetti in una sola donna. L’amore implica entrambi gli elementi, estremi e opposti, da un lato spirituale e romantico, dall’altro la spinta biologica verso la continuazione della specie. L’uomo che non è riuscito a liberarsi della madre non può mettere insieme la principessa, e, per così dire, la prostituta. Il problema emerge quando ci si sposa e deve vivere insieme con una donna la vita quotidiana. Poiché non c’è l’essere umano,non c’è calore…non c’è la possibilità di un rapporto umano.

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Luce e OMBRA della nostra personalità

Luce e OMBRA della nostra personalità

Dentro ciascuno di noi si aggira un’Ombra. Dietro la maschera che indossiamo per gli altri, sotto il volto che  esponiamo, vive un lato nascosto della nostra personalità. Usiamo la parola “Ombra” semplicemente per indicare il fatto che la maggior parte di noi non è pienamente consapevole di tutti i tratti della propria personalità. Tutti noi amiamo amarci intelligenti, generosi, di buon carattere o dotati di qualità pratiche e cose del genere; la personalità però possiede anche altre caratteristiche, a volte inferiori, di cui non siamo consapevoli. È il rapporto con l’ambiente circostante a farcene intuire l’esistenza, poiché esse si manifestano quando un conflitto viene a turbare questo rapporto. Essendo qualità inferiori tendiamo a cacciarle nell’Ombra, non le guardiamo in faccia e quando riflettiamo su noi stessi tendiamo a dimenticarle, perché ce ne vergognamo. Solo gli amici più intimi o le persone che ci vivono accanto sono in grado di evidenziare con chiarezza questi tratti inferiori. Quasi tutti noi ci identifichiamo maggiormente con i tratti che ci rendono socialmente accettabili, di conseguenza tendiamo a considerare l’Ombra imbarazzante, inferiore e talvolta un po’ maligna e socialmente inaccettabile. Ma non è sempre così. Ci sono persone che tendono a vivere i propri aspetti peggiori e in questo caso l’Ombra risulta essere positiva. I criminali, per esempio, vivono l’aspetto peggiore della propria personalità, e di conseguenza hanno un’Ombra positiva. Di norma, comunque, tendiamo ad identificarci con i tratti più positivi ed evoluti.

Ma in che modo l’Ombra si manifesta nella vita quotidiana?

Quando ci sentiamo stanchi o sotto pressione, succede spesso che una personalità diversa da quella nostra abituale si faccia avanti. Le persone molto ragionevoli e altruiste, per esempio diventano improvvisamente e inesorabilmente egocentriche e sgradevoli, maltrattano chiunque stia loro intorno. Anche in caso di malattia l’Ombra emerge immediatamente,si manifesta sotto forma di un improvviso cambiamento di carattere. Capita spesso che le persone invidiose e gelose si giochino reciprocamente dei brutti scherzi. Perdono le cose, non rispettano gli appuntamenti…sono armati delle migliori intenzioni, ma la loro Ombra li gioca alle spalle. Ognuno di noi ha il suo nemico d’elezione, il suo “miglior nemico”per così dire. Quando qualcuno ci fa del male è naturale odiarlo. Ma quando non ci fa nulla di male e al solo vederlo ci sentiamo irritati al punto di volergli metter le mani addosso, allora è certo che si tratta dell’Ombra. La cosa migliore da fare sarebbe sedersi un attimo e scrivere tutte le caratteristiche della persona odiata. Rileggendole ci riconosceremo….ed è davvero un fatto sconvolgente scoprire la propria Ombra!

Quanto più una persona pensa di essere virtuosa e non vive la propria Ombra. Tanto più la proietta e vede gli altri come malfattori. La persona convinta di essere virtuosa vive in un costante stato di indignazione e dà la caccia alla propria Ombra nella persona di un altro. Non ri-conoscerla sifìgnifica davvero perdere un’importante occasione di crescita ed evoluzione. L’Ombra è la nostra funzione sociale migliore. Ci integra all’interno del gruppo umano. Le buone qualità ci pongono al di sopra del gruppo. L’Ombra ci rende uomini tra gli uomini e umani, semplicemente umani.

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Emozioni autentiche vs emozioni parassite:risolvere i problemi nel qui ed ora

Emozioni autentiche vs emozioni parassite:risolvere i problemi nel qui ed ora

È importante distinguere le emozioni autentiche da quelle parassite. Le emozioni parassite sono quelle che, quando eravamo piccoli, abbiamo deciso andassero a sostituire quelle autentiche, perché proibite all’interno della famiglia. Facciamo un esempio: supponiamo che un bambino piccolo, aggredito dal bullo del quartiere, provi paura e la mostri. Corre dalla mamma spaventato e alla ricerca di protezione, e lei per incoraggiarlo gli dice che i bimbi grandi non piangono, ma vanno fuori e affrontano gli altri. Ciò che i bambino registrerà è che provando paura non ottiene il risultato d’essere protetto ma solo ignorato. Allora giorno dopo giorno verificherà tutta una gamma di emozioni in risposta a situazioni stressanti. Proverà ad essere triste, allegro, confuso, vuoto aggressivo, fino a scoprire che se reagisce con rabbia contro il bulletto, si farà male perché il bullo è più forte, ma avrà guadagnato l’approvazione di mamma ….e questo è quel che conta! Ha scoperto un’emozione che gli fa ottenere risultati, per ottenere il riconoscimento dai genitori deve mostrare aggressività, anche se queste carezze le paga con le ferite fisiche. Questa sequenza di eventi sarà probabilmente quella che il bambino metterà in atto più e più volte nel corso della sua vita. Ora ogniqualvolta comincia a sentirsi spaventato o triste, nasconde perfino a se stesso questa emozione e passa direttamente all’aggressività. Le emozioni autentiche sono invece quelle che abbiamo sperimentato da piccoli prima ancora che venissero censurate perché scoraggiate all’interno della famiglia. Le emozioni autentiche sono 4: rabbia, tristezza, paura e felicità. In contrasto potremmo riempire pagine e pagine di emozioni parassite: gelosia, imbarazzo, vergogna, senso di colpa, ecc..

L’importanza di distinguere le emozioni parassite da quelle autentiche sta nel fatto che l’espressione di quest’ultime permette di risolvere i problemi nel qui ed ora, in altre parole quando esprimiamo un’emozione autentica facciamo qualcosa che contribuisce a porre fine alla situazione. Quando provo una paura autentica e agisco per esprimere la mia emozione sto contribuendo a risolvere un problema che vedo nascere nel futuro. Se devo affrontare un esame  la paura mi aiuterà a studiare e a restare concentrato. La rabbia autentica serve a risolvere i problemi nel presente. Se sono in coda ad uno sportello e una persona non rispetta la fila, l’espressione autentica della mia rabbia mi permette di occuparmi di me stesso nel qui ed ora. Quando mi sento autenticamente triste sto aiutando me stesso a superare un evento doloroso relativo al passato. Piangere, parlare della mia perdita mi permette di liberarmi del mio dolore per poi passare ad occuparmi del mio presente e del mio futuro. Le emozioni autentiche hanno una funzione di problem-solving, quelle parassite no. Ogniqualvolta cominciamo a sentire paura, rabbia o tristezza al di fuori della loro cornice temporale adeguata, sappiamo che questa è un’emozione parassita. Ad esempio ci sono molte persone che passano la vita arrabbiati per qualcosa accaduta nel passato, ma il passato non si può cambiare, questa rabbia non è produttiva come mezzo per risolvere i problemi. Ora provate a riflettere ogniqualvolta provate un’emozione se questa è autentica oppure no, valutando se l’esito è stato soddisfacente oppure no, vedrete come la gran parte delle emozione che ci permettiamo di provare sono  emozioni parassite.

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Quando l’amore diventa ossessione

Quando l’amore diventa ossessione

C’è una linea sottile tra l’amare e l’amare troppo, che determina una grande differenza in chi lo prova: di solito chi ama troppo non ama se stesso! Spesso in questo caso più che di amore potremmo addirittura parlare di ossessione verso il partner, e forse alla radice di tale ossessione non c’è l’amore, ma la paura: paura di restare soli, paura di non essere degni d’amore e di considerazione, paura di essere ignorati, abbandonati, annichiliti. Solitamente si tratta di un fenomeno tipicamente femminile, anche se esistono molti uomini che coltivano questa ossessione con lo stesso fervore di una donna. Di solito gli uomini tendono a proteggersi, ad alleviare le loro pene ponendosi mete esterne piuttosto che interne. Tendono ad appassionarsi al lavoro, agli sport o a qualche hobby, mentre le donne tendono a risolvere i problemi, derivanti da un’infanzia conflittuale, in una relazione che le ossessiona, forse proprio con un uomo altrettanto disturbato e distante. Le donne che vivono il proprio amore verso il partner come un’ossessione, lo offrono con la speranza assurda che tale uomo possa proteggerle dalle loro paure; invece le paure e le ossessioni si approfondiscono, finchè offrire amore con la speranza di essere ricambiate diventerà la costante di tutta una vita. E poiché, questa strategia non funziona queste donne ci riprovano, amano ancora, amano di più, amano troppo, annullando se stesse, i propri bisogni, la propria individualità.  Le radici di questi amori, definite ossessioni, sono ataviche e infantili, ferite mai guarite, basate sullapprendimento di un rifiuto precoce legato alla propria inadeguatezza, e per questo si perpetuano nella relazione di coppia. Il dipendente ama l’altro idealizzato, lo stesso amore che ha provato nella propria infanzia per un genitore irraggiungibile, che lo ha abbandonato, dal quale si è sentito tradito.

Per questo, la dipendenza si alimenta e si nutre del rifiuto, della svalutazione, dell’umiliazione, del dolore: non si tratta di provare piacere nel vivere tali difficoltà, ma di dare corpo al desiderio di essere in grado di cambiare l’altro, di convincerlo del proprio valore, di salvarlo, riuscendo a farsi amare da chi ama solo se stesso. Amare un partner realmente affettuoso e gentile porta ad annoiarsi, invece lo stare sulla corda, il rifiuto, la mancanza di certezza muove il desiderio.

Questo comportamento è ulteriormente aggravato da un’ attribuzione di colpe che non si hanno: io sbaglio e per questo lui si comporta in questo modo”, “se solo fossi meno gelosa tutto questo non succederebbe”, “se ha urlato e mi ha offeso così è perchè io l’ho fatto innervosire, ho tirato la corda”. Si tende a giustificare l’altro,i suoi malumori,il suo cattivo carattere, la sua indifferenza, quando tutto ciò non piace, eppure ci si adatta pensando che l’amore e l’affetto che si prova verso l‘altro lo farà cambiare  per amor nostro. Naturalmente, si tratta di valutazioni errate che servono ad  alimentare e a mantenere la bassa considerazione di sé.

 

Il primo passo per poter uscire da questa condizione è incominciare ad amare se stessi e a mettersi al centro della propria , passaggio indispensabile per passare dalla dipendenza all’indipendenza, ovvero concedersi la possibilità di farsi amare in modo sano e diventare sereni.

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Il cibo: rapporto di amore e odio

Il cibo: rapporto di amore e odio

Il cibo: rapporto di amore ed odio. In alcuni casi anche indifferenza, non curanza in altri, comunque sempre presente anche quando non c’è, perché il cibo è presente anche nella sua assenza.

Quante volte ti sei trovato ad immaginare il tuo piatto preferito aspettando che tua moglie o tua madre te lo prepari?

Il rapporto con il cibo è il rapporto più intenso che abbiamo. La prima cosa che facciamo quando nasciamo è cercare di mangiare. Ci fiondiamo verso il seno della madre (oggettivamente distratta dalla sforzo del parto) ed iniziamo a succhiare il colostro (primo latte materno).

Se questo è il nostro primo imprinting, possiamo dire che, una volta venuti al mondo, la nostra vita sarà sempre segnata dal cibo.

Magari ti starai chiedendo perché ho scritto questa lunga premessa. La risposta è molto semplice: perché stiamo parlando del rapporto più profondo che abbiamo: quello con il cibo.

Non a caso, oggi come oggi, i professionisti che abbondano in tv sono i cuochi, ops!, scusate, gli chef. Sembra che le cose più importanti al mondo siano la cucina, i cibi e le infinite varietà di diete che possiamo seguire. Il cibo imperversa a tutte le ore in ogni rete televisiva.

Ma tu che rapporto hai con il cibo?

Cibo come compagno. In alcuni casi le persone usano il cibo come sostituto di un compagno. Ho sentito di persone che parlano al cibo. Ho visto persone inforcare dei maccheroni o una polpetta, osservarli e parlarci. Una delle scene più divertenti del film “Il diario di Bridget Jones” è quando lei si sente sola ed abbandonata e si siede sul divano con un barattolo da due chili di gelato con l’intenzione di finirlo. Il cibo come sostituto di un affetto.

Cibo come nemico. Per le anoressiche, invece, il cibo è un nemico da sconfiggere. Intraprendono una guerra contro il cibo, una guerra che, in alcuni casi, non avrà mai fine. Il cibo è visto come un veleno. Meno si mangia, più la felicità sarà vicina. Il cibo non deve entrare nella vita dell’anoressica e, se entra, deve uscire il prima possibile: con lassativi oppure bruciandolo con l’attività fisica.

Cibo come riempitivo. Vuoi fare una dieta semplice? Mangia solo quando hai fame e smetti di mangiare prima di sentirti sazio. Semplice, no? No! Molte persone non mangiano quando hanno fame. Ti sembra strano? Invece è molto frequente sentire di persone che non mangiano quando hanno fame, ma quando sono stressate, annoiate o ansiose. Il cibo dovrebbe avere una solo funzione: apportare calorie e nutrimenti al nostro organismo, ma non sempre lo usiamo per questo.

Cibo come medicina. Da sempre cibo, piante e fiori sono stati usati per curare malattie. Oggi sembra che sia ritornato di moda il cibo come elemento curativo. Sembra che ogni anno la “tribù” dei vegani aumenti del 10%. Solo alcuni anni fa, se uno diceva di essere vegano, veniva visto come un infettato, come uno che non era del tutto a posto con la psiche. Oggi se non hai un po’ di tofu in frigo non ti vuoi bene. Come cambiano velocemente le cose quando si parla di cibo. Il cibo come medicina è la moda del momento. Curcuma, zenzero, noci, soia e derivati sono alimenti che non possono mancare nella dieta di una persona che tiene al proprio benessere. Allo stesso modo, ci sono anche alimenti da evitare accuratamente: carni rosse, latte e derivati, farine di vario tipo e raffinazione sono, invece, veleno legalizzato. Ma nessuno si chiede che le persone che oggi hanno ottanta, novanta o cento anni hanno mangiato per metà della loro vita solo questi cibi? Per l’altra metà, invece, hanno mangiato gran poco.

Cibo come psicofarmaco. E siamo arrivati al cibo come psicofarmaco ossia quello che viene utilizzato per farci provare sensazioni piacevoli. Perché nessuno mangia cibo schifoso per provare sensazioni altrettanto schifose? In questo caso, il cibo viene utilizzato come antidepressivo, ansiolitico, ipnagogico. Questo è il caso delle persone che, se non mangiano almeno cinquanta grammi di cioccolata al giorno, diventano irascibili, se non violente. Il cibo come psicofarmaco lo riscontriamo anche nei depressi o negli ansiosi. Non sempre la depressione porta all’apatia culinaria; a volte porta anche alle abbuffate depressive. Invece per gli ansiosi non c’è nulla di meglio che mangiare quando sentono quella strana sensazione allo stomaco.

E tu come lo utilizzi il cibo?

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