Una buona terapia grazie all’empatia

Una buona terapia grazie all’empatia

Empatia perchè è così importante in terapia?

Esistono molte definizioni del concetto di Empatia elaborate da altrettanti autori che ne hanno messo in luce diversi aspetti e di conseguenza differenti criteri per identificala e misurarla. Il risultato è che non esiste una definizione unitaria e condivisa. Infatti se in letteratura ne esaminiamo le definizioni si nota come spesso il termina simpatia venga utilizzato per circoscriverne e differenziarne il significato.
La simpatia è “sentire con l’altro” dunque si parla di due unità psichiche, l’empatia è invece “sentire dentro l’altro” si crea una sola unità. In ambito terapeutico nel primo caso osserviamo il mondo dell’altro, nel secondo caso siamo nel mondo dell’altro.L’empatia è un’importante competenza emotiva grazie alla quale è possibile entrare più facilmente in sintonia con la persona con la quale si interagisce.
E’ un’abilità sociale di fondamentale importanza e rappresenta uno degli strumenti di base di una comunicazione interpersonale efficace e gratificante. Si manifesta con l’ascolto attivo, che diventa empatico quando si è disposti a uscire dai propri schemi mentali per considerare quelli dell’altro.

Nelle relazioni interpersonali l’empatia è una delle principali porte d’accesso agli stati d’animo e in generale al mondo dell’altro. Grazie a essa si può non solo afferrare il senso di ciò che asserisce l’interlocutore, ma si coglie anche il significato più recondito psico-emotivo.

Questo ci consente di espandere la valenza del messaggio, cogliendone elementi che spesso vanno al là del contenuto semantico della frase, esplicitandone la metacomunicazione, cioè quella parte veramente significativa del messaggio, espressa dal linguaggio del corpo, che è possibile decodificare proprio grazie all’ascolto empatico.

L’empatia, inoltre, consente di ottenere informazioni utili per interpretare e a volte prevedere, al di
là delle parole pronunciate e di quelle non dette, l’essenza, le intenzioni, i bisogni impliciti e le motivazioni più profonde di un comportamento passato, presente o futuro, altrimenti difficilmente comprensibile con la sola forza della logica e della ragione.
Il tema dell’empatia ha suscitato grande interesse nelle ricerche psicologiche perché molti studi hanno dimostrato che questa è una variabile strettamente correlata ad un buon esito del percorso terapeutico. La capacità empatica in parte può essere  una caratteristica del terapeuta,  per cui alcuni terapeuti sono più predisposti rispetto di altri ad essere empatici, in parte può essere una competenza che può essere appresa e potenziata.

Secondo Rogers è importante non identificarsi nell’altro e mantenere un io – tu, al contrario di Buber il quale sosteneva l’importanza, affinché si potesse parlare di empatia, di stare nel mondo del paziente eliminando il come sé e poter così entrare in intimità.

Nell’ambito delle neuroscienze, in conseguenza alle recenti scoperte scientifiche, è stata proposta la distinzione tra empatia cognitiva cioè la capacità di comprendere e predire lo stato mentale di un altro ed empatia affettiva cioè sperimentare un’emozione appropriata come risultato dello stato mentale di un altro (Cohen e Wheelwright 2004).

L’ empatia viene utilizzata in terapia con lo scopo di illuminare l’inconscio e non per stabilire una relazione in cui può avvenire un’esperienza emozionale correttiva.Secondo l’approccio rogersiano l’empatia è percepire lo schema di riferimento interiore di un altro come se fosse la persona, senza perdere di vista la condizione “come se”.Il blocco fondamentale della teoria di Rogers è proprio la tendenza attualizzante che può essere promossa e facilitata quando il cliente sente che nei suoi confronti esiste un’accettazione positiva incondizionata, in un contesto di comprensione empatica da parte di un terapeuta congruente. Quindi l’empatia è più di una tecnica, è un’attitudine del terapeuta. .

L’ empatia potrebbe essere inoltre identificata  come una componente dell’alleanza terapeutica definita appunto come la costruzione empatica di un ponte di fiducia (base sicura) che permette al cliente di manifestarsi e di coinvolgersi progressivamente (legame di attaccamento) per individuare i bisogni e pianificare così obiettivi realistici.

In generale possiamo dire che l’empatia è la componente centrale dell’arte terapeutica, l’arte cioè di rispondere in modo sensibile al cliente secondo una modalità che sia facilitativa. La terapia non è un processo meccanico e tecnico, ma si basa sull’intelligenza e richiede una continuità di ascolto, pensiero, sintonizzazione e dialogo. Un ascolto empatico attento e rispondente può aiutare i clienti a ricercare le esperienze, chiarire pensieri e percezioni, fare necessarie chiarificazioni di significato, scoprire nuove prospettive, sviluppare una nuova cornice di riferimento e esprimere nuovi comportamenti. Tre dei modi principali attraverso i quali il terapeuta può accompagnare il cliente in questo processo sono: la riflessione empatica, l’interpretazione empatica e l’autosvelamento empatico

 

Ma l’empatia si può apprendere?

Vari studi hanno dimostrato che lo sviluppo dell’empatia è un fenomeno complesso che coinvolge diversi aspetti dello sviluppo cognitivo, affettivo e comportamentale. Si è visto che il bambino ha delle competenze di base per cui ad esempio già a 6-7 mesi possono trasmettere e decodificare le emozioni di base, sanno discriminare i segnali emotivi presenti nell’altro, grazie allo sviluppo dell’amigdala. Tuttavia, pur esistendo delle predisposizioni innate, la capacità empatica si acquisisce e si sviluppa attraverso le interazioni interpersonali. Infatti è stato dimostrato che la capacità genitoriale di soddisfare i bisogni emotivi dei propri figli gioca un ruolo importante nello sviluppo dell’empatia. Al contrario, qualóra alcune emozioni vengano proibite (rabbia, dolore, piacere) il bambino svilupperebbe una minor capacità empatica verso se stesso e verso gli altri. Alcune ricerche condotte su madri depresse, che risultano disponibili fisicamente e non affettivamente, dimostrano che tali madri utilizzano in misura minore di quelle non depresse strategie di interazione empatica con i loro figli e sono meno sensibili nei loro riguardi, i figli mostrano un livello più alto di aggressività, iperattività, depressione, ansietà, e meno empatia. La capacità empatica dipende dallo stile d’attaccamento della persona e quindi dal grado di fiducia e sicurezza che la persona sperimenta.

 

 In conclusione, possiamo dire che il terapeuta attraverso un atteggiamento empatico può entrare in “intimità” con il paziente, favorendo il processo terapeutico. Importante per il terapeuta è non avere paura e spaventarsi di tale intimità perché se il terapeuta percepisce paura o preoccupazione si potrebbe “allontanare”, compromettendo la possibilità di entrare in empatia e quindi in relazione. Per “stare con l’altro” il terapeuta deve essere abbastanza sicuro di sé da sapere che non si perderà in ciò che nel mondo dell’altro potrebbe risultare bizzarro o strano, e che può comodamente ritornare al suo mondo personale non appena lo desidera.

Dott. De Blasio Stefania

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