Il  copione di vita nella favole dell’infanzia

Il copione di vita nella favole dell’infanzia

Nella vita di ciascuno, gli eventi drammatici e i diversi ruoli che vengono appresi, approvati e poi recitati,sono all’origine tutti determinati da un copione. Un copione psicologico ha una straordinaria somiglianza con un copione teatrale. Entrambi hanno un determinato cast di personaggi, un dialogo, atti e scene, temi e complicati intrecci  che si snodano verso un momento culminante e terminano con il calare del sipario. Il copione psicologico è un programma di vita di una persona che ne stabilisce la meta e il modo di raggiungerla; è un dramma che la persona recita compulsivamente, anche se può esserne vagamente consapevole. Il dramma della vita inizia dalla nascita, le istruzioni del copione vengono poi programmate attraverso le transazioni tra genitori e bambini. I ruoli che generalmente si sceglie di portare in scena sono tre: Vittima, Persecutore e Salvatore. Crescendo, il bambino impara a recitare una di queste parti: eroi, eroine, malvagi, vittime e salvatori e inconsciamente cerca altre persone che recitino i ruoli complementari. Il copione di una persona  si riflette spesso in favole nelle quali compaiono non solo i fondamentali ruoli manipolativi ma anche la trama secondo cui questi ruoli vengono recitati. I persecutori delle fiabe sono impersonati per lo più da matrigne cattive,streghe, orchi, lupi feroci, draghi o altre bestie feroci. Le vittime sono ranocchie, trovatelli, belle addormentate, piccole fiammiferaie, brutti anatroccoli e altri piccoli infelici. I salvatori sono fate buone, generosi folletti, maghi o principesse e principi affascinanti. Per poter essere salvata, una vittima ha bisogno di un salvatore. Una famosa favola in cui è evidente la funzione complementare di vittima e salvatore è la fiaba La Bella e la Bestia. La Bella a differenza delle sorelle egoiste, non pretende nulla per sé e quando il padre cade in rovina si sacrifica, facendo anche i lavori più umili. Quando il padre viene rapito dalla Bestia deve accettare di consegnarle sua figlia. Benché estremamente brutta la Bestia è molto gentile (il bravo ragazzo) e quando Bella si ammala, la sposa…ed ecco che accade il miracolo: La Bestia si trasforma in un incantevole principe. Una giovane donna che abbia questo copione, si costruirà l’idea, tratta dalle prime esperienze con il padre, che tutti gli uomini siano bisognosi della sua devozione. Una Bella moderna può quindi scegliere un marito “indegno”, una “bestia”, che può essere di sgradevole aspetto,alcolizzato, drogato, pieno di debiti, o nei guai con la legge. Allora Bella scopre che la magia non avviene più e può scegliere o di sacrificarsi e restare con la Bestia, o divorziare e cercare un’altra Bestia da salvare. Da parte sua la Bestia può aspettare un nuovo Salvatore o prendere l’iniziativa e la responsabilità della propria vita.

Un altro classico delle fiabe è Cenerentola, la vittima che si offre a fare da serva in casa ed è circondata da persone crudeli. Il suo primo Salvatore è una fata madrina che grazie ai suoi doni le permette di andare alla festa. Qui Cenerentola incontra un altro Salvatore: il principe. Una cenerentola moderna che reciti la parte di perdente, accetta per lo più un lavoro che lei stessa considera  servile, facendo ciò che riconosce di competenza altrui. E si convince che se avesse più soldi, vestiti migliori, se frequentasse posti più in potrebbe conquistare un principe e vivere una vita migliore. Le moderne Cenerentole sono coloro che sono incastrate in un lavoro che non piace aspettando un principe che forse non arriverà mai.

C’è poi la favola del Principino storpio,dove il principino a causa di una sua deformità viene rilegato in una torre, qui arriva una fata che gli regala un orologio ch egli permette di ” prendere il volo”  e viaggiare verso terre sconosciute. Il Principino moderno può essere chiunque non si senta totalmente accettato, chiunque senta di non appartenere a niente e nessuno e che può trovare rifugio nella droga, nell’alcool o in qualsiasi altra dipendenza che assomigli all’orologio della favola.

Nella vita quotidiana c’è chi sceglie di isolarsi come Robinson Crusoe, chi lotta contro i “mulini a vento” come Don Chisciotte, chi “vola” al salvataggio di tutti come Superman, chi si rifiuta di crescere come Peter Pan, chi si trova continuamente coinvolto in situazioni banali o drammatiche come la prima donna di un melodramma.

E tu da quale favola ti senti maggiormente rappresentato? Quale personaggio preferisci? Prova a ricordare la favola che durante la tua infanzia più ti piaceva, spesso è quella in cui ci identifichiamo e sulla quale abbiamo costruito in nostro copione di vita.

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Madre e figlio maschio: come nasce il complesso materno

Madre e figlio maschio: come nasce il complesso materno

Un forte complesso materno si sviluppa quando la madre è il genitore che lascia nel figlio la maggior impronta di sé. Ciò non significa che la madre sia effettivamente la personalità più forte, può semplicemente significare che il figlio ne rimanga più colpito o che si senta più vicino a lei che non al padre. Se l’influenza materna è positiva, il figlio sviluppa un complesso materno positivo; se invece l’influenza è negativa, ne deriverà un complesso materno negativo. È importante saper che ogni uomo sviluppa un complesso materno sia esso negativo o positivo, e che in questo non vi è nulla di patologico. Il complesso rappresenta la prova del modo in cui un uomo ha reagito ai propri genitori. Secondo questo modello organizzerà poi il proprio modo di reagire al sesso opposto.

Di solito il complesso si manifesta negli uomini sotto forma di fantasie romantiche, irreali, per lo più sessuali. È identificabile, per esempio nel corso della pubertà, quando i giovani, da molto attivi,diventano improvvisamente passivi e sognanti. È come se non fossero presenti. I loro risultati calano drasticamente  e viene da chiedersi dove è finito il ragazzo che tutti conoscevamo. È per così dire inchiodato a fantasie sessuali. Si tratta di un passaggio obbligato per quell’età, ma se l’adulto rimane bloccato a questo stadio e continua ad indulgere nelle fantasie sessuali, perde la capacità di prendere in  mano la propria esistenza, perde la volontà. Perde la sua efficienza maschile vivendo una vita irreale.

Quando un uomo ha avuto un rapporto troppo stretto con la madre, specialmente nel caso di un rapporto positivo, un uomo il cui femminile è rimasto imprigionato nel complesso materno, tende ad idealizzare le donne, vede in ogni donna la Beatrice di Dante, o la Vergine Maria. Non è in grado di avvicinare una donna nella vita di tutti i giorni, di andarle incontro con le sue parti inferiori, con la sessualità. Gli uomini di questo tipo non riescono a vivere i due aspetti in una sola donna. L’amore implica entrambi gli elementi, estremi e opposti, da un lato spirituale e romantico, dall’altro la spinta biologica verso la continuazione della specie. L’uomo che non è riuscito a liberarsi della madre non può mettere insieme la principessa, e, per così dire, la prostituta. Il problema emerge quando ci si sposa e deve vivere insieme con una donna la vita quotidiana. Poiché non c’è l’essere umano,non c’è calore…non c’è la possibilità di un rapporto umano.

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Scrivere di sè come forma di autoterapia

Scrivere di sè come forma di autoterapia

Scrivere nasce dalla voglia di mettere ordine nel caos dell’esistenza, dal desiderio di raccontare la vita e sperimentare ancora il senso di coerenza profonda, arrivando così a essere più intimi con il proprio mondo interiore. La scrittura svolge una funzione di contenimento, di liberazione catartica e di sostegno. Con la scrittura è possibile riparare il passato, inventare l’avvenire, costruire il presente. La scrittura di se stessi impone un iniziale silenzio, un dialogo tutto interiore per esprimere quello che non si vuole dire ad alta voce, ferma i pensieri “per sempre” nel tempo presente. Nell’autonarrazione ci si muove verso la ricerca di fatti essenziali, delle “note” che continuano a risuonare nella testa. La ricerca delle “cose” vissute come protagonisti o come testimoni consente di costruire un canovaccio, una trama della propria vita, sentendosi liberi di “interpretare come più vi piace il vostro passato”

Scrivere consente all’Io di prendere una forma consapevole e di dare un significato individuale all’esistere. Scrivere di sé aiuta:

  • dar vita ad un alter ego con il quale poter dialogare e/o confrontarsi per scoprire parti diverse di sé;
  • immergersi nelle parole che hanno creato un mondo nuovo per poter guardare la verità più intima;
  • guarire dal mal di vivere. Ogni scrittura autobiografica consente di analizzare i fatti alla giusta distanza e guardare da vicino la profondità di quanto emerso;
  • renderci maestri di noi stessi, protegge il nostro io smarrito dalle critiche, sostiene le sue ragioni per imparare a essere più autentici;
  • trovare uno specchio in cui cercare il volto degli eventi interiori a cui dare uno spazio significativo.

Nel processo di ricostruzione della storia personale i ricordi aiutano a diventare più consapevoli dei bivi della propria esistenza con le scelte e le rinunce fatte. I vari bivi possono considerarsi come nuovi punti di partenza che danno la possibilità di percorrere le strade non imboccate in passato. Questo consente di estrarre dal passato della propria vita i semi che non sono germogliati, ma che faremo crescere nel futuro in modo significativo.

La dimensione autobiografica può definirsi come un sistema le cui parti sono in interazione reciproca e include tutto ciò che appartiene a un tempo e ad una rappresentazione dell’esistenza. Ogni parte è connessa con le altre per guidare lo scrittore verso la ricerca di sé al fine di dar vita alla risceneggiatura della propria storia.

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MINDFULNESS: UNA PRATICA ANTICA AL SERVIZIO DELLA MENTE MODERNA

MINDFULNESS: UNA PRATICA ANTICA AL SERVIZIO DELLA MENTE MODERNA

Mindfulness, ovvero mind+ fulness  “pienezza” della mente, è un condizione di completezza e ampiezza  della mente, perché essa, completamente accentrata, assorbita, nel momento e dal momento, attua una sorta di consapevolezza totale della sua presenza nel qui ed ora. Con la pratica della mindfulness, la mente aumenta la sua ampiezza: ampiezza della concentrazione, della consapevolezza, della comprensione, della penetrazione nell’essenza delle cose.

Praticare la mindfulness è molto semplice: per cominciare il percorso di consapevolezza basta prendersi un tempo per sé, iniziando anche con pochi minuti al giorno, indifferentemente se mattina o pomeriggio, deve essere un tempo comodo a noi. Scegliamo uno spazio adatto e cominciamo a  respirare  in modo consapevole. All’inizio della pratica potrebbe succedere che la mente divaghi. Senza preoccuparci, lasciamo che il pensiero vada, poi con calma, utilizzando il respiro, riportiamo l’attenzione sull’inspirazione e l’ispirazione. Proprio attraverso la respirazione regolare e consapevole, possiamo guidare la nostra attenzione al momento presente che ci permette di concentrarci unicamente su ciò che stiamo facendo.

A cosa serve?

  • Aiuta a identificare le emozioni, riconoscerle e sentirle nel corpo;
  • Permette di mantenere un equilibrio emozionale perché posso gestire le emozioni riconosciute;
  • Permette la gestione di stati emotivi dolorosi senza attuare fughe o strategie di evitamento;
  • Aumenta la capacità di mantenere l’attenzione sul presente, senza giudizio e con accettazione verso le emozioni che si originano;
  • Diminuisce il comportamento automatico e le risposte impulsive;
  • Incrementa lo sviluppo di emozioni positive;
  • Incentiva la curiosità e l’apertura verso il nuovo;
  • Sviluppa una profonda capacità di ascolto verso se stessi e gli altri;
  • Migliora la qualità relazionali con gli altri.
  • Risulta utile nella gestione dei disturbi alimentari, disturbi d’ansia, attacchi di panico e stati depressivi;

E tu sei pronto ad iniziare?

Dott.ssa Stefania De Blasio

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COMINCIA LA SCUOLA: come gestire le paure di grandi e piccoli!

COMINCIA LA SCUOLA: come gestire le paure di grandi e piccoli!

In tutte le regioni italiane è suonata la campanella che sancisce definitivamente la fine dell’estate e l’inizio della scuola. Spesso fonte di ansia e stress sia per i grandi che per i piccoli, l’ingresso in aula determina un passaggio psicologico importante. Vediamo insieme come rendere questo momento il più possibile sereno per genitori e figli.

Alcuni genitori che si trovano per la prima volta a lasciare i propri figli a scuola possono vivere con ansia il momento del distacco, a loro volta i bambini intuiscono questo malessere e lo fanno proprio, non comprendendo davvero le cause di queste sensazioni.

Sarebbe utile che i genitori possano ritagliare uno spazio con i propri figli in cui parlare di ciò che provano, delle proprie emozioni da adulti, lasciando spazio ai bambini per poter esprimere anche i loro desideri, l’entusiasmo o le paure che sentono nei confronti della nuova esperienza.

Con i bambini un po’ più grandi, che sanno già cosa significa affrontare un anno scolastico, è bene condividere i loro pensieri e le loro emozioni, cogliendo l’opportunità di dialogo, ad esempio comprando insieme il materiale scolastico.

Il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media implica un ulteriore cambiamento, soprattutto se si considera l’età particolare in cui avviene. È questa una fase in cui i ragazzi hanno voglia di essere autonomi , e allo stesso tempo sentono  ancora esigenze tipiche dell’infanzia, che però tendono a nascondere. Per i genitori riconoscere i problemi derivanti dal passaggio da un grado di scuola ad un altro, non è facile, dato che generalmente in quest’età i ragazzi tendono a non voler condividere le proprie esperienze con gli adulti. È opportuno allora cercare di stimolare l’autonomia dei propri figli mantenendo salde regole e valori familiari in modo tale da poter essere guida in un percorso spesso tortuoso.

Infine l’ingresso alle scuole superiori determina un nuovo inizio. Coincide con un momento particolare in cui lo studente sta entrando in contatto e costruendo la propria personalità e indipendenza. L’ansia in questo caso è notevole perché avvicina il ragazzo all’età adulta e a numerose pressioni e responsabilità.

I genitori, dal canto loro, devono tentare di mantenere un rapporto di comunicazione aperto magari parlando della propria esperienza alla stessa età, questo rende gli adulti più “veri” e meno “perfetti” agli occhi dei figli che possono sentirsi più liberi e maggiormente accettati. Questo il “compito” per settembre dei genitori. Il ritorno a scuola, seppur carico di ansia e di stress può diventare un’opportunità per migliorare e cementare il rapporto tra genitori e figli.

Dott.ssa Stefania De Blasio

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Lo faccio a settembre: come gestire gli impegni rinviati!

Lo faccio a settembre: come gestire gli impegni rinviati!

Settembre è arrivato e puntuale con lui anche tutti gli impegni che nei mesi estivi avevamo rimandato. Quando rinviamo a settembre abbiamo la sensazione che il tempo a disposizione sia tanto, settembre ci sembra lontano, inarrivabile, poi in un attimo ci ritroviamo con l’autunno alle porte pronto a chiedere il conto. Ecco allora alcuni suggerimenti su come gestire gli impegni che ci troviamo a dover affrontare senza esserne sopraffatti:

  • scrivi una lista delle cose da fare, sia quelle più semplici, sia quelle più complicate;
  • stabilisci delle priorità: parti da ciò che è più urgente e arriva a ciò che non lo è:
  • per ogni attività fissata datti un tempo massimo entro il quale portarla al termine;
  • per poter cadenzare i tuoi impegni in modo tale che non ti tolgano troppo tempo usa un calendario o ancora meglio un’agenda che grazie alla suddivisione del tempo in ore offre la possibilità di pianificare nel medio periodo e di distribuire le attività equamente;
  • porta a termine le cose difficili: quando un’attività richiede svariati passaggi per essere completata è opportuno suddividerla in più sottopunti di cui ti occuperai nel corso di più giorni. Completare gli impegni maggiori presenti sulla tua lista ti farà sentire notevolmente produttivo e ti darà la forza di affrontare le altre cose che hai messo da parte;
  • quando c’è qualcosa che non ti va di fare chiediti se lo puoi fare in meno di 5 minuti, sapere che un impegno che non ci piace ci toglie così poco tempo ci aiuta a non rimandarlo;
  • evita le distrazioni: telefono, riviste, pc; allo stesso tempo concediti delle pause in cui sarai tu stesso a scegliere come occupare il tempo di relax;

In ultimo, anche se in realtà è il motore che porta avanti il nostro operato: tieni a mente l’obiettivo finale del tuo impegno: concentrati sul tempo libero, il rilassamento, il denaro, la promozione, di cui potrai godere una volta terminato il tuo lavoro. Farlo ti aiuterà a rimanere sul tracciato e a lavorare verso i tuoi obiettivi.

Buon lavoro!

Dott.ssa Stefania De Blasio

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Rientrare dalle vacanze:che trauma!

Rientrare dalle vacanze:che trauma!

Rientrare dalle vacanze e ricominciare a lavorare, riprendere i ritmi della quotidianità, gli impegni, ritrovarsi con questioni da risolvere e responsabilità può comportare stress, non solo sul piano psicologico ma anche fisico. Spesso infatti al rientro dalle ferie, un periodo di svago e riposo che viene vissuto come sospeso,  lontano dalla realtà, si può avvertire stanchezza, calo dell’attenzione, mal di testa, accompagnati anche da  disturbi digestivi, dolori muscolari, atonia, insonnia e sbalzi d’umore. È necessario nei primi giorni di rientro lasciare che il nostro corpo e la nostra mente si riabitui piano piano ai ritmi e ai tempi del quotidiano, molto diversi da quelli sostenuti durante il periodo di vacanze, molto più dilatati e lenti.  Vediamo, attraverso alcuni piccoli accorgimenti, come affrontare al meglio il rientro dalle ferie:

  • non rientrare a ridosso dell’inizio della settimana lavorativa, è bene tenersi un paio di giorni per potersi riabituare ai vecchi ritmi e sistemarsi senza fretta;
  • cercare di dormire le stesse ore che si dormivano in vacanza per poi passare gradualmente a diminuirle;
  • evitare di riprendere tutti gli impegni da subito: palestra, associazioni di cui siamo membri, amici possono attendere che ci siamo ripresi al 100%;
  • cercare di non perdere le sane abitudini prese in vacanza: fare sport, camminare, uscire, passeggiare, l’attività fisica ha benefici sul corpo e sulla mente;
  • mantenere i rapporti con le persone conosciute in vacanza, questo garantisce l’idea di poter tornare con la mente al periodi di ferie e quindi di svago e riposo ogniqualvolta lo desideriamo;
  • provare a fare un piccolo cambiamento nella nostra quotidianità : basta anche un orario diverso, un percorso modificato che serve a dare un’idea di novità;
  • Infine, mettere in atto i buoni propositi o i cambiamenti che ci eravamo prefissati in vacanza: abbiamo accumulato energia sufficiente per agire ed impegnarci su quello.

BUON LAVORO!!

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La coppia e il morbo dell’incomunicabilità

La coppia e il morbo dell’incomunicabilità

Forse non tutti sanno che nella coppia tutto è comunicazione. Più verbale all’inizio, diventa più essenziale e non verbale nel tempo, quando i ritmi delle giornate consentono piccolo spazi comunicativi per lo più brevi e spesso legati ad avvenimenti esterni.

Bodenmann(2004) ha individuato tre aree di competenza importanti nel mettere in atto modalità di conflitto costruttive utili a mantenere nel tempo una relazione soddisfacente:

  • competenze comunicative: servono a negoziare la relazione e a migliorare l’intimità;
  • competenze di problem solving: necessarie per la risoluzioni di problemi;
  • competenze di coping: utili a far fronte efficacemente agli eventi critici, attesi e non, di ampia portata o quotidiani.

Il livello di competenza comunicativa può discriminare le coppie soddisfatte da quelle insoddisfatte: le prime sono caratterizzata da un’alta qualità della comunicazione intesa come capacità di rivelare al partner e riconoscere le reciproche emozioni e opinioni; le seconde si distinguono per una comunicazione povera, scarse capacità di argomentazioni, evitamento costante, manifestazioni di aggressività e distruttività. Una buona modalità di comunicazione si evidenza nella quotidianità, soprattutto in caso di conflitti e litigi.

Gottman e Silver (1999) definiscono “Cavalieri dell’Apocalisse” tutti i comportamenti di critica, disprezzo e ostruzionismo che si hanno durante una comunicazione negativa. La critica rappresenta un attacco alla persona, quando si accusa l’altro, non solo ci si lamenta di un particolare comportamento adottato, ma si attua un vero e proprio attacco alla persona. Il disprezzo trasmette disgusto, e insieme alla critica, determina un atteggiamento di difesa, volto a rimproverare l’altro, o, altre volte un atteggiamento di ostruzionismo che serve ad evitare, a disimpegnarsi emotivamente dalla relazione. I partner quando litigano tendono ad attribuirsi reciprocamente sentimenti negativi,hanno difficoltà a cogliere i sentimenti esperiti dall’altro e non riescono ad utilizzare una comunicazione costruttiva. Le coppie che dedicano tempo al racconto degli avvenimenti della giornata, che risolvono efficacemente le questioni della vita quotidiana e che gestiscono in modo adeguato lo stress giornaliero si espongono in misura minore al rischio di innescare una reazione conflittuale distruttiva.

D’Amico(2006) sottolinea l’importanza dei “turni” della conversazione che evitano contrapposizioni fuorvianti e implicano non solo una buona capacità di esprimersi, ma anche, e soprattutto, di ascoltare. Nell’avvicendarsi dei turni, ciascun partner può perseguire almeno due obiettivi: sottolineare la propria superiorità o, al contrario, sostenere chi parla. Uno dei due può cercare di manifestare la propria superiorità ricorrendo alle interruzioni o abusando del tempo a disposizione, e può farlo anche con atteggiamenti non verbali, come non guardare il partner, ma volgere lo sguardo altrove o usando i gesti, tipo puntare il dito contro. A questo punto sarebbe utile sospendere la comunicazione per poi riprenderla successivamente. Intanto può servire allentare la tensione e affinare le competenze comunicative dedicandosi al pettegolezzo, allo scambio di informazioni, all’humour, alla scoperta di aree comuni di interesse per eludere le trappole della cattiva comunicazione.

Successivamente , come proposto da Bodenmann e Bertoni (2004), si può ricorrere al metodo dell’imbuto, una modalità specifica che consente di esprimere al partner quanto è accaduto in una situazione stressante e conflittuale e soprattutto come ci si è sentiti e che cosa si è provato in modo chiaro ed esplicito. Il modello sottolinea come in caso di conflitto sia utile parlare della situazione stressante che ha generato il conflitto (comunicazione neutrale) per arrivare a comunicare i sentimenti che l’hanno accompagnata (comunicazione esplicita diretta). Man mano che si scende verso una comunicazione esplicita diminuisce la possibilità di fraintendimenti, favorendo la risoluzione della situazione conflittuale stressante. La qualità della comunicazione risulta dunque un predittore significativo rispetto alla qualità e stabilità della relazione intima e all’assenza di conflitti distruttivi. Una buona comunicazione utile a impedire l’amplificazione delle situazioni di conflitto è quella che supera la negatività reciproca anche grazie all’utilizzo di strategie di interruzione momentanea della discussione.

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Tradimento: perchè succede e cosa fare

Tradimento: perchè succede e cosa fare

Il  tradimento ci lascia pensare ad una relazione intima, in realtà,ogni tipo di relazione può subire un “tradimento”. Se ti fermi un po’ di più a riflettere ti renderai conto che non solo nel corso della tua vita sarai stato tradito, molto probabilmente, hai anche tradito.

Vediamo più nello specifico cos’è il tradimento. Il tradimento significa minare la fiducia che una persona ci aveva dato. Perché ci sia il tradimento, bisogna che ci sia qualcuno che ci abbia dato fiducia. Quindi, se non c’è fiducia, non ci può essere tradimento. Questa è la prima regola.

.Mi piacerebbe riportare una storia che spiega meglio cos’è la fiducia e il tradimento.

“Un giorno un padre insegnò a suo figlio a saltare da una scala. Lo prese e lo mise sul primo gradino e lo invitò a saltare rassicurandolo che lo avrebbe preso. Il bambino, fidandosi delle parole del padre, decise di saltare. Il padre, una volta afferrato il bambino, lo mise sul secondo gradino è lo esortò a saltare, assicurandolo attraverso una serie di promesse, sulla sua presenza e sulla propria capacità di non farlo cadere. Il bambino saltò nuovamente e trovò il padre a prenderlo. Il padre lo mise così sul terzo gradino. Il bambino, fiducioso che il padre lo prendesse nuovamente saltò ma il padre questa volta non lo prese ed il bambino finì a gambe all’aria. Il padre lo sollevò e guardandolo dritto negli occhi gli disse: “Ora hai imparato che non ti puoi fidare di nessuno. Nemmeno di tuo padre. Che ti serva da lezione”.

Viene spontaneo chiedersi come mai una persona dovrebbe tradire la fiducia di un amico o compagno di vita? Le motivazioni possono essere varie, sicuramente alla base c’è, da parte dei  traditori seriali, il non aver imparato il vero valore della fiducia, dell’affidarsi, del lasciarsi andare nei confronti dell’altro.

Sono quelle persone che, per qualche motivo, fin da piccoli, non hanno avuto dei rapporti sicuri e non sono riusciti ad avere quelle sicurezze nei confronti della persona che si doveva prendere cura di loro stessi.

In questo modo hanno capito precocemente che l’altro non è “casa”, non è un posto sicuro, bensì un pericolo perché nel momento in cui abbassi la guardia ti farà del male. Madri o padri che si comportano in modo ambivalente, incostanti nel dare amore, imprevedibili, creano nel bambino una grande confusione che lo porterà a non fidarsi mai completamente dell’altro. Se apprendo che la fiducia non sarà mai una mia risorsa per rilassarmi e per ricaricarmi, non la considererò importante e per questo la potrò sminuire e tradirla senza nemmeno sentirmi in colpa.

I traditori seriali di entrambi i sessi ricercano costantemente l’approvazione e, non sentendosi importanti, ricercano nella conquista quell’autostima che le figure d’accudimento non sono riuscite a dargli. Per loro la fiducia non è importante perché non sanno cos’è e la possono dare come togliere. Quello che gli interessa è solo ricercare qualcuno che li faccia sentire importanti. La verità è che nessuno li potrà mai far sentire come vogliono sentirsi, perché è una mancanza infantile e quello che ricercano lo ricercano da quella persona che allora era tutto il loro mondo.

Ora magari vi state chiedendo come si può uscire da questo circolo vizioso che tanto dolore crea ad amici e compagni di vita.

Avere una buona consapevolezza di quello che da piccoli si è vissuto è il primo passo. Il secondo è capire che quello che si ricerca da grandi non è altro che un copione che si è appreso in tenera età ma che da grandi si possono anche fare cose diverse. Fondamentalmente, se non ti è ancora chiaro, devi sviluppare un Io adulto capace di affidarsi e di dare fiducia.

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Dipendenza dall’altro e bassa stima di sè: sintomi e cause del disturbo dipendente di personalità

Dipendenza dall’altro e bassa stima di sè: sintomi e cause del disturbo dipendente di personalità

Soggetti con caratteristiche di dipendenza assumono un comportamento subordinato e sottomesso finalizzato a ricercare qualcuno che li protegga e che si prenda cura di loro. Esso nasce da una considerazione di sé come fondamentalmente inadeguati e indifesi e pertanto incapaci di affrontare il mondo soltanto con le proprie forze (bassa stima di sé). Questo bisogno che siano altri ad assumersi la responsabilità va oltre le richieste adeguate all’età e situazioni-appropriate di assistenza (come le esigenze specifiche dei bambini, anziani e portatori di handicap) perché temono di perdere supporto o approvazione. Le persone con tratti dipendente di personalità spesso hanno difficoltà ad esprimere disaccordo con altre persone, in particolare con quelle da cui sono dipendenti (genitori, familiari, colleghi); non si sentono così in grado di funzionare da sole e piuttosto che rischiare di perdere l’aiuto di coloro dai quali cercano orientamento e cura accettano tutta una serie di compromessi; hanno difficoltà ad iniziare progetti o fare le cose in modo indipendente; possono andare incontro ad impegni continuativi estremi per ottenere accudimento e supporto dagli altri, fino al punto di partecipare ad attività di volontariato anche spiacevoli se tale comportamento porterà le cure di cui hanno bisogno. Gli individui con personalità dipendente si sentono a disagio o indifesi quando sono soli, e le cause di queste percezioni vanno ricondotte ai loro timori esagerati di non essere in grado di prendersi cura di se stessi. Quando una relazione è finita da poco tempo (ad esempio una rottura di un legame affettivo o la morte di un caregiver), le persone con tratti di personalità dipendente cercano urgententemente un altro rapporto che possa fornire la cura e il sostegno di cui hanno bisogno e sono spesso preoccupati per la paura di essere lasciati a se stessi per le proprie cure. Le persone con una personalità dipendente non si fidano della loro capacità di prendere decisioni e credono che gli altri abbiano idee e soluzioni migliori rispetto ai problemi da affrontare; possono essere devastate da avvenimenti di separazione e perdita, e possono accettare di tutto, anche l’abuso e la sofferenza, pur di mantenere un rapporto. Ci troviamo dunque di fronte a persone che hanno:

  • difficoltà a prendere decisioni senza rassicurazione da parte di altri;
  • passività estrema;
  • problemi nell’esprimere disaccordo con gli altri;
  • evitamento delle responsabilità personale
  • evitamento di essere da soli devastazione o impotenza quando i rapporti finiscono;
  • non essere in grado di soddisfare le esigenze ordinarie della vita;
  • preoccupazione per la paura di essere abbandonati;
  • sentirsi facilmente feriti da critiche o disapprovazione;
  • disponibilità a tollerare maltrattamenti e abusi da parte degli altri.

La sua dipendenza la rende un bersaglio facile per le persone manipolative o instabili, vittima spesso di abusi sia psicologici che fisici o di continui maltrattamenti a violenze.Le persone con questi tratti, coerentemente con il postulato di base, desiderano una relazione “simbiotica” con chi è in grado di proteggerli dal “resto del mondo” e di prendersi cura di loro. Questo li porta a scegliersi partner con caratteri forti, che assumono nei loro confronti comportamenti di controllo e di dominio. Egli tende a richiedere rassicurazioni e conferme; vive qualsiasi gesto di allontanamento, se pur minimo, come un possibile e doloroso abbandono. Le persone dipendenti hanno un’idea di sé pervasa dalla paura di essere sbagliate, inadeguate, incompetenti, che le rende insicure e con una bassa valutazione del proprio valore e della propria efficacia. I soggetti dipendenti sono fondamentalmente persone pessimiste e piene di dubbi su tutte le questioni di fondo. Ritenendo di essere “inadeguate” non si assumono la responsabilità di prendere iniziative, si ritengono degli ottimi  “esecutori di ordini” rispetto ai quali possono anche ottenere buoni risultati. Diventano ansiosi quando, soprattutto in campo lavorativo, si richiede intraprendenza e spirito d’iniziativa. Le critiche ed in generale le disapprovazioni vengono vissute come una conferma della loro mancanza di valore e ciò finisce per alimentare la loro disistima. Il bisogno di conferma, la paura ad esprimere disaccordo e la necessità di avere continue rassicurazioni, possono indurre problematiche lavorative, laddove il soggetto deve prendere decisioni autonome. Spesso queste persone saranno gregari preferendo lavori al di sotto delle loro possibilità.Nei casi in cui la posizione lavorativa non prevede tale libertà, il soggetto può avere la tendenza ad assecondare le richieste di capi o datori di lavoro per poi sentirsi sfruttato o non giustamente considerato.

Le relazioni sociali sono ridotte e limitate a “persone note” che non hanno nei loro confronti aspettative che non riuscirebbero a sostenere. Da un punto di vista psicologico molti soggetti con questo disturbo sono cresciuti in famiglie in cui i genitori od uno di loro hanno comunicato in vario modo che l’indipendenza è fonte di pericoli. Il soggetto percepisce che lo sviluppo della propria autonomia va in netto contrasto con i desideri delle figure di accudimento e quindi per essere loro “fedele” deve rinunciarvi anche perché in caso contrario potrebbe perdere l’amore di queste figure.

Quest’idea è rafforzata dal comportamento dei genitori che premiano il comportamento dipendente e rifiutano, talvolta in modo subdolo, i tentativi orientati alla separazione e indipendenza.

Complicazioni di questo disturbo possono includere depressione, abuso di alcol e di droga, e la suscettibilità ad abusi fisici, emotivi e sessuali. Alcuni studi condotti sulle interazioni parentali tra madre/padre e bambino sostengono che comportamenti di dipendenza in età adulta sono associati a uno stile genitoriale che determina e mantiene le rappresentazioni di sé come vulnerabile e inefficace. I bambini sembrano costruire e interiorizzare tali rappresentazioni di sé sperimentando relazioni genitoriali ambivalenti e intermittenti nella capacità di fornire aiuto e accudimento. Tale atteggiamento induce il bambino a mettere in atto strategie per assicurarsi la vicinanza della figura di riferimento, sviluppando dinamiche di dipendenza, e a temere l’abbandono in qualsiasi momento. incoraggiare i bambini- e soprattutto gli adolescenti – ad essere indipendenti è importante, migliora la loro capacità di gestire e risolvere i conflitti e ad avere buone relazioni interpersonali. Inoltre avere maggiore indipendenza porta ad un aumento della capacità di resistere alle pressioni esterne.  A volte i genitori sono sempre sopra i propri figli e cercano di provvedere ai loro bisogni, indipendentemente dall’effettivo bisogno dei figli di vedersi risolti tutti i problemi, spesso ancor prima che si presentino. Questo atteggiamento risulta controproducente. Studi hanno dimostrato che stare troppo “sopra” i proprio figli genera in loro ansia e depressione. Importante  dare loro un contenimento fatto di regole e allo stesso tempo lasciare che i figli possano esplorare il mondo. Rispetto alle regole è bene precisare che una regola è una regola e non va mai dimenticata. L’ incertezza farà credere al ragazzo di poter ottenere ciò che vuole in ogni circostanza

Il consiglio: Mettersi d’accordo con l’altro genitore su quali sono le regole chiare e coerenti ed essere uniti

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