Il cibo: rapporto di amore e odio

Il cibo: rapporto di amore e odio

Il cibo: rapporto di amore ed odio. In alcuni casi anche indifferenza, non curanza in altri, comunque sempre presente anche quando non c’è, perché il cibo è presente anche nella sua assenza.

Quante volte ti sei trovato ad immaginare il tuo piatto preferito aspettando che tua moglie o tua madre te lo prepari?

Il rapporto con il cibo è il rapporto più intenso che abbiamo. La prima cosa che facciamo quando nasciamo è cercare di mangiare. Ci fiondiamo verso il seno della madre (oggettivamente distratta dalla sforzo del parto) ed iniziamo a succhiare il colostro (primo latte materno).

Se questo è il nostro primo imprinting, possiamo dire che, una volta venuti al mondo, la nostra vita sarà sempre segnata dal cibo.

Magari ti starai chiedendo perché ho scritto questa lunga premessa. La risposta è molto semplice: perché stiamo parlando del rapporto più profondo che abbiamo: quello con il cibo.

Non a caso, oggi come oggi, i professionisti che abbondano in tv sono i cuochi, ops!, scusate, gli chef. Sembra che le cose più importanti al mondo siano la cucina, i cibi e le infinite varietà di diete che possiamo seguire. Il cibo imperversa a tutte le ore in ogni rete televisiva.

Ma tu che rapporto hai con il cibo?

Cibo come compagno. In alcuni casi le persone usano il cibo come sostituto di un compagno. Ho sentito di persone che parlano al cibo. Ho visto persone inforcare dei maccheroni o una polpetta, osservarli e parlarci. Una delle scene più divertenti del film “Il diario di Bridget Jones” è quando lei si sente sola ed abbandonata e si siede sul divano con un barattolo da due chili di gelato con l’intenzione di finirlo. Il cibo come sostituto di un affetto.

Cibo come nemico. Per le anoressiche, invece, il cibo è un nemico da sconfiggere. Intraprendono una guerra contro il cibo, una guerra che, in alcuni casi, non avrà mai fine. Il cibo è visto come un veleno. Meno si mangia, più la felicità sarà vicina. Il cibo non deve entrare nella vita dell’anoressica e, se entra, deve uscire il prima possibile: con lassativi oppure bruciandolo con l’attività fisica.

Cibo come riempitivo. Vuoi fare una dieta semplice? Mangia solo quando hai fame e smetti di mangiare prima di sentirti sazio. Semplice, no? No! Molte persone non mangiano quando hanno fame. Ti sembra strano? Invece è molto frequente sentire di persone che non mangiano quando hanno fame, ma quando sono stressate, annoiate o ansiose. Il cibo dovrebbe avere una solo funzione: apportare calorie e nutrimenti al nostro organismo, ma non sempre lo usiamo per questo.

Cibo come medicina. Da sempre cibo, piante e fiori sono stati usati per curare malattie. Oggi sembra che sia ritornato di moda il cibo come elemento curativo. Sembra che ogni anno la “tribù” dei vegani aumenti del 10%. Solo alcuni anni fa, se uno diceva di essere vegano, veniva visto come un infettato, come uno che non era del tutto a posto con la psiche. Oggi se non hai un po’ di tofu in frigo non ti vuoi bene. Come cambiano velocemente le cose quando si parla di cibo. Il cibo come medicina è la moda del momento. Curcuma, zenzero, noci, soia e derivati sono alimenti che non possono mancare nella dieta di una persona che tiene al proprio benessere. Allo stesso modo, ci sono anche alimenti da evitare accuratamente: carni rosse, latte e derivati, farine di vario tipo e raffinazione sono, invece, veleno legalizzato. Ma nessuno si chiede che le persone che oggi hanno ottanta, novanta o cento anni hanno mangiato per metà della loro vita solo questi cibi? Per l’altra metà, invece, hanno mangiato gran poco.

Cibo come psicofarmaco. E siamo arrivati al cibo come psicofarmaco ossia quello che viene utilizzato per farci provare sensazioni piacevoli. Perché nessuno mangia cibo schifoso per provare sensazioni altrettanto schifose? In questo caso, il cibo viene utilizzato come antidepressivo, ansiolitico, ipnagogico. Questo è il caso delle persone che, se non mangiano almeno cinquanta grammi di cioccolata al giorno, diventano irascibili, se non violente. Il cibo come psicofarmaco lo riscontriamo anche nei depressi o negli ansiosi. Non sempre la depressione porta all’apatia culinaria; a volte porta anche alle abbuffate depressive. Invece per gli ansiosi non c’è nulla di meglio che mangiare quando sentono quella strana sensazione allo stomaco.

E tu come lo utilizzi il cibo?

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Binge eating o abbuffata? Facciamo chiarezza

Binge eating o abbuffata? Facciamo chiarezza

Il Binge Eating Disorder (BED) è un Disturbo del Comportamento alimentare che si distingue per la presenza episodi ricorrenti di abbuffate. Con questo termine si indica una condizione definita da due precise caratteristiche, entrambe necessarie: 1. Mangiare in un tempo circoscritto ( per esempio in due ore) una quantità di cibo indiscutibilmente maggiore di quella che la gran parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo e in circostanze simili; 2. Sensazione di perdere il controllo nell’ atto di mangiare (ad esempio sentire di non poter smettere di mangiare o di non poter controllare cosa o quanto mangiare). Tale comportamento è stata definita abbuffata oggettiva, e si differenzia da altre forme frequenti  di alimentazione eccessiva .

L’abbuffata soggettiva, ad esempio è simile a quella oggettiva, ad eccezione della quantità di cibo assunta. Se non c’è perdita di controllo possiamo parlare di alimentazione eccessiva . queste modalità di alimentazione non si escludono reciprocamente, molti studi dimostrano infatti che soggetti con disturbo da alimentazione incontrollata possono avere abbuffate oggettive e soggettive. Ai fini diagnostici, vanno considerati comunque la frequenza ( almeno due giorni la settimana), la quantità di cibo ingerito e le emozioni che li accompagnano. Tale definizione differisce da quella  per la bulimia nervosa dove invece è richiesto un numero minimo di due episodi di abbuffate la settimana.

Nel linguaggio comune, si usa dire che ci abbuffiamo quando mangiamo troppo. Questo potrebbe generare confusione: da un lato, si rischia di banalizzare il disturbo con un semplice eccesso di cibo; dall’altro, si rischia di etichettare come BED uno stile nutrizionale magari non esattamente corretto, ma comunque non patologico.

La maggioranza di noi avrà sperimentato almeno una volta nella vita la sensazione di mangiare a sazietà, fino a “sentirsi scoppiare”. Può capitarci a tavola durante le feste, a un aperitivo tra colleghi o in occasioni di festeggiamento come un pranzo di nozze. Mangiamo troppo anche quando saltiamo un pasto e arriviamo tremendamente affamati a quello successivo o semplicemente perché abbiamo davanti un piatto che amiamo molto ma che non abbiamo occasione di mangiare più spesso.

Il contesto in cui abbiamo mangiato a sazietà è perlopiù positivo: una festa in famiglia, una tavolata tra amici, una cena in una località turistica. In seguito a questi episodi possiamo provare rimorso per avere esagerato, sentirci un po’ in colpa e riprometterci, sorseggiando un digestivo, che non lo faremo più. Nonostante si sia abbondato, rimane comunque la sensazione di avere il controllo sul proprio comportamento alimentare; gli episodi sono sporadici e circostanziati.

Nel BED si sperimenta invece una perdita di controllo: si mangia senza riuscire a fermarsi, anche se si sta male per quanto si è pieni. Chi ne soffre vive negativamente la propria immagine: ha scarsa autostima, si vergogna di sé. Si abbuffa in solitudine, spesso con del cibo tenuto appositamente nascosto, vivendo il tutto con profondo disgusto verso se stessi.

Trovare una definizione corretta per i propri comportamenti alimentari serve a indirizzare in maniera efficace il lavoro e non deve essere ridotto a mero etichettamento.

Quando il cibo serve a mettere una distanza

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Dieta: quando il rimedio diventa peggiore del problema

 

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Disordini alimentari: le radici profonde del problema

Disordini alimentari: le radici profonde del problema

Al giorno d’oggi, ossessionate dalla magrezza e da corpi sinuosi, molte donne hanno problemi ad accettare il proprio corpo. Ci arrivano una miriade di stimoli che mettono in discussione le nostre forme, ci viene detto che sembriamo troppo grasse per cui cerchiamo di mangiare meno. A volte dimagriamo, altre volte il corpo si adegua e se la cava con meno calorie. Allo stesso tempo accade però che nel tempo la nostra struttura corporea tende a ripristinare il peso adeguato. Quasi ogni donna che si è sottoposta ad una restrizione alimentare, avrà fatto, suo malgrado, questa constatazione. Molte donne con problemi di linea passano inosservate, di solito si tratta di coloro che per smaltire il chilo in più preso il fine settimana, soffrono la fame tutti gli altri giorni. Esistono poi molte donne ossessionate dal proprio comportamento alimentare, il cui pensiero è rivolto sempre a questo argomento. Queste donne non riescono a controllare volontariamente quanto mangiano: l’impulso a mangiare le assale ed esse si trovano alla sua mercè. Il corpo rappresenta solo l’ultimo anello di una lunga catena di comportamenti e di atteggiamenti che si influenzano a vicenda. Se analizziamo superficialmente il problema sembrerebbe che l’ impulso a mangiare scateni l’attacco di fame che provoca il più delle volte un senso di vergogna e di colpa; e a seconda dell’intensità del bisogno della donna di ristabilire il controllo su se stessa ella metterà in atto o no condotte che la aiutino a ripristinare il  “suo peso ideale”. Se invece ci spingiamo un po’ oltre il singolo comportamento ci accorgiamo che le radici del problema sono sotterranee e affondano in un terreno assai profondo, inconscio. Sembra che le radici comuni ai disturbi alimentari affondano nelle primissime fasi dell’alimentazione, nell’appagamento del bisogno del lattante. Che cosa può fare un neonato se non ottiene  una risposta adeguata alle proprie esigenze di nutrimento, protezione, calore e sicurezza? Può cercare di attirare la madre, ma se anche ciò fallisce, si rassegna, cercando di limitare i propri bisogni. Ciò che emerge da tale rassegnazione, e che perdura anche in età adulta, è la sensazione di non aver ricevuto abbastanza, di averci rimesso. Chi soffre di disturbi alimentari non solo hanno ricevuto troppo poco, spesso il cibo, la protezione, l’accettazione non sono stati dati quando venivano richiesti, ma quando l’adulto riteneva giusto concederli. Che cosa impara dunque un neonato in queste circostanze? Impara ad afferrare e trattenere tutto ciò che riceve. Poichè non possiede ancora il concetto di tempo, agisce secondo il principio “ora o mai più”. Questo modello è riscontrabile in coloro che soffrono di disturbi alimentari anche in età adulta: limitata capacità di sopportare le frustrazioni, avidità, ingordigia, tendenza ad aggrapparsi agli altri nei rapporti d’amore  e di amicizia. Credono di non poter mai ricevere abbastanza, e soprattutto quando lo desiderano. Con il loro afferrare e aggrapparsi costringono i loro familiari a difendersi per non essere “divorati”; questa avidità tuttavia riguarda solo le persone più intime perché esteriormente appaiono forti, superiori e competenti. Generalizzando  si può affermare che coloro che soffro no di alterazioni nel controllo dell’appetito non sono così autonome e indipendenti come vogliono apparire e che il più delle volte non riescono a formulare richieste o rifiuti per paura di non essere più amati. A questo punto potrebbe essere importante focalizzarsi su due quesiti: come mai è così importante essere amate? E soprattutto: cosa intendono per amore?

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Immagine corporea

Dieta: quando il rimedio diventa peggiore del problema

Dieta: quando il rimedio diventa peggiore del problema

Quando pensiamo di perdere peso facendo solo una dieta, senza tener conto delle emozioni legate al cibo e al nostro modo di mangiare, abbiamo già perso in partenza. L’effetto negativo a lungo termine di una gestione inappropriata delle emozioni è l’aumento di peso. Tale condizione a sua volta produce emozioni e stati d’animo negativi che spingono le persone a sottoporsi a diete e trattamenti di dimagrimento. Affrontare il problema agendo soltanto sull’aspetto nutrizionale spesso non produce i risultati auspicati.

Capita spesso che una volta iniziata una dieta emergano delle difficoltà a portarla a termine o a mantenere il peso raggiunto.

Tali esperienze fallimentari, se sommate insieme,  peggiorano ulteriormente il problema poiché inducono un senso di scarsa forza di volontà ed efficacia personale, impotenza contribuendo ad abbassare ulteriormente l’autostima e ad assumere un atteggiamento demotivato e rinunciatario.

Per questo motivo è importante conoscere ed agire non solo sugli aspetti nutrizionali, ma anche sugli aspetti emotivi che potrebbero ostacolare un buon rapporto con il cibo.

Molte volte una dieta può essere destinata al fallimento, perché non si è considerato, e quindi non si è modificato, il rapporto tra emotività e cibo.

Essere passivi rispetto al problema alimentare ed assumere un atteggiamento di delega sono condizioni che facilitano l’insorgenza e il mantenimento di stati d’animo negativi.

In tale ottica risulta fondamentale la collaborazione fra la figura del Dietista e quella dello Psicologo/Psicoterapeuta poiché occupandosi sia della natura alimentare sia della dimensione psicologica del problema, si ha la possibilità  di agire più efficacemente.
Le abitudini alimentari sono anche veicolo di comunicazione all’interno del gruppo familiare e rispecchiano atteggiamenti e abitudini . Alcune frasi “tipo” sono  esplicative di  questo “modo” di comunicare utilizzando l’alimento:

  • “Se non mangi, non esci!”
  • “Mangia questo alimento… perchè l’ho preparato per te!!”
  • “Fammi la cortesia, mangia!!”
  • “Se non mangi mamma piange!!”

Questo spaccato di frasi “comuni”, sicuramente più  ricco perché ognuno di noi può integrarlo con tante altre frasi, attingendo al proprio ricordo, ma anche dall’ immaginario collettivo, a conferma che alimentarsi ed alimentare non è un semplice comportamento di consumo, ma rientra in una fascia di comportamenti che riguarda fattori biologici, socio-psicologici, nutrizionali, clinico-medici ecc.

Nessuno di noi, infatti,  mangia solo sostanze inerti, ma anche simboli, tradizioni, abitudini,associati agli alimenti e fortermente radicati nelle relazioni sociali e collettive, ma anche, spesso, in quelle che intratteniamo all’interno della famiglia.

La “famiglia” è, infatti, sia pure  con diverse letture legate alla storia dei costumi e alle mode, il focus delle prime esperienze alimentari  e della formazione delle scelte. Queste ultime  richiedono competenze sia di tipo informativo ( notizie raccolte intorno agli alimenti) che di tipo culturale (abitudini) e cognitivo( apprendere ad utilizzare o meno certi alimenti, conoscerne  le componenti nutrizionali, i valori nutrizionali ecc), ma anche  vere e proprie  relazioni con persone significative che,  nel tempo, creano una rete di informazioni a cominciare dalla scuola fino ai mass media.

Sella base delle proprie tradizioni,abitudini,  tipo di apprendimento, stile di vita ecc, ognuno di noi diversifica le sue scelte.

I fattori che incidono sulle scelte sono  importanti, prima del consumo e dopo di esso, e spesso  sono diversi  :   la scelta iniziale è spesso percettiva, sui  colori, le forme, gli odori di un  ambiente, e la seconda è più legata alla  propria abitudine alimentare ( come cucinare un alimento, come conservarlo, il suo costo, la marca ecc)

Fra i diversi fattori che incidono sul determinare   i comportamenti, la differenza di genere, è particolarmente importante le donne e gli uomini, infatti, fanno scelte alimentari, statisticamente, diverse, non solo per le diverse caratteristiche biologiche che contraddistinguono i due diversi generi, ma anche per gli stili di vita diversi e i diversi sentimenti associati alla nutrizione, compresi pregiudizi e i “falsi miti” o certezze alimentari che affondano le loro radici in terreni diversi.

Il profilo alimentare femminile tende a credere che alcuni alimenti garantiscano la “magrezza” che ,in genere, la donna occidentale moderna ritiene vincente. In molte inchieste  da noi condotte, la ricerca della “magrezza” viene rincorsa da molte donne consumando formaggi , identificandoli con l’attributo di “leggeri”, evitando la pasta attribuendo maggiore potere ingrassante ecc.

Le conseguenze dei falsi miti,  conducono a stili alimentari “ad hoc” spesso sconclusionati sul piano nutrizionale!

Poichè le motivazioni e i bisogni che ruotano intorno alla salute e al corpo, in rapporto all’alimentazione, sono diversi fra uomo e donna, anche gli stili alimentari ripercorrono queste differenze e anche le conoscenze intorno all’alimentazione o alle “buone abitudini” seguono “certezze diverse”

Questo intricato, ma affascinante mondo dell’alimentazione, spesso viene illuminato solo dalla pubblicità con luci non certo imparziali, alimentando falsi bisogni e confusioni di comportamenti molto evidenti

Le abitudini vengono  da lontano e spesso non ci si riflette abbastanza, ma il  primo messaggio “alimentare” avviene in famiglia in fasi molto precoci con l’allattamento e con lo svezzamento.

Solo verso i 3, o 4 anni il bambino incontra con  la scuola, in genere, nuovi modelli alimentari; spesso  si “scontrano” i due mondi, sia per gusto che per  modi di preparazione e spesso le famiglie contrastano  l'”educazione”alimentare scolastica e  i comportamenti  del bambino ne risentono : confusione, inappetenza, capricci, ipernutrizione  ecc

La seconda grande rivoluzione “alimentare” avverrà nell’adolescenza, quando il desiderio di autonomia e identità si esprimerà anche seguendo scelte alimentari fuori casa e più simili a quelle dei gruppi dei coetanei che della famiglia, instaurando gerarchie diverse  dove l’alimento è importante non come nutriente, ma come mezzo di incontro o di piacere : gustoso,  da consumarsi insieme, nei “cult” dei fast food o dei pubs, in modo itinerante, mangiando dovunque a tutte le ore!!

Pur se l’adolescente cambia abitudini, in contrasto con quelle del gruppo familiare,  lo stile con il quale è stato trasmesso il comportamento alimentare in famiglia, lascia spesso il segno perchè è intriso degli stili  dominanti delle personalità  familiare.

Fra gli stili di personalità più frequenti  in soggetti che rivelano alterati comportamenti alimentari, spiccano il “perfezionismo” e l’autoritarismo dicotomico ( o si fa così – o non si fa niente ! è il modello base di questo tipo di personalità) e questi  “tratti” sono  spesso  quelli che hanno prevalso nella famiglia oppure sono una formazione reattiva a tratti troppo lassisti.

Il perfezionismo e il pensiero dicotomico.se troppo esasperati, possono nuocere al buon equilibrio del comportamento, mentre se, più realisticamente, vivono l’errore come  modalità di esperienza formativa  e contengono le frustrazioni, possono essere di stimolo a molti comportamenti equilibrati

Molti stili di personalità che si riflettono  in “modalità educative” sono presenti in alcuni disturbi del comportamento alimentare che, più o meno gravi, ricadono comunque nello stile di vita individuale, condizionandolo e alterandolo scatenando  una serie di  difficoltà genericamente  definibili “disturbi della condotta alimentare”

I disordini alimentari spesso si esprimono con  instabilità dell’umore, ricerca affannosa della performance corporea, diete  fai da te, esasperate e inutili ecc.

Molti di questi disturbi  sono gravi epur ricadendo   in sintomatologia  che hanno aspetti alimentari ( inappetenza,  o eccesso alimentare), sono principalmente disturbi   che riguardano le specializzazioni  della Psichiatria, Neuropsichiatri e la Psicologia .

Quando si parla in questi termini, ci si riferisce a vere e proprie malattie come l’Anoressia Nervosa, la Bulimia Nervosa e il Mangiare Compulso e non a disturbi del comportamento alimentare.

L’Anoressia, Bulimia, e il “Binge Eating” o Compulsione, sono malattie che, per essere diagnosticate, debbono essere oggetto di osservazione non solo del medico, in prima istanza  di famiglia, al quale il genitore deve rivolgersi ai primi “sintomi”, ma, ribadiamo, dagli specialisti ad hoc!!

Spesso le famiglie  sono spaventate dalle parole “psichiatria ” o consimili e, invece,   queste malattie appena citate, prese in tempo, si contengono ed anche risolvono, alleviando, con la cura, la vita del paziente  oltre che della sua famiglia.

Alcuni campanelli d’allarme da “osservare” : – Se un figlio adolescente di 12, 13, 14 anni, protrae e persiste nel rifiuto costante verso ogni tipo di cibo; se  si allontana troppo spesso appena finito di mangiare e si rifugia in bagno; se preferisce mangiare isolato dalla famiglia  o pone attenzione esasperata alla sua immagine corporea; se nega fortemente ogni verità sulla magrezza del proprio corpo…,questi sono alcuni  dei più evidenti e semplici sintomi, che  vanno discussi con il proprio  medico .

Altri disturbi dell’alimentazione   “meno” gravi ma ugualmente socialmente  con ricadute pesanti  nell’aspettativa di vita del paziente, sono le iperalimentazioni  con sovrappeso e obesità.

Spesso conseguenza di scorrette modalità di alimentarsi ( mangiare in continuazione e dovunque”Nomadizzazione”, fare un solo pasto , fare pasti solo liquidi, ricorrere a diete continue ed autosommistrate ecc sono  esperienze che  molti obesi  hanno in comune, prima di diventare obesi!!); l’obesità  si accompagna anche a disturbi della pelle, disturbi dell’umore, dell’apparato muscolare ed osseo, cardiovascolare ecc.

L’obesità, grande fantasma che copre molti paesi “ricchi” è spesso frutto di insane e pregiudiziali competenze che penalizzano molti alimenti a fronte di altri, con  associati sbagli e pregiudizi, ma anche frutto di stili di vita sedentari, escluse le obesità di tipo  genetico.

Spesso l’obesità dei genitori si estende ai figli, ma anche spesso  i bambini sono  “ciccioni”,di per sè, perchè le mamme li “affogano ” di alimenti seguendo insani fantasmi di “benessere” pregiudizialmente associato all’aspetto “florido”  come espressione di “salute” o perchè essi stessi, integrano con merendine e snack i pranzi fatti in casa,  aggiungendo calorie a calorie e non  applicando attività fisica  adeguata.

Poichè spesso in età giovanile l’alimento tende ad essere scelto per  i suoi aspetti “edonistici”, il permanere di questo criterio di scelta giuoca un ruolo  a favore  non certo della frutta e verdura, che non sfoggiano alto potere gustativo, mentre  vengono privilegiati  cibi grassi e dolci, che fisiologicamente sono  molto palatabili.

L’industria, che ne propone in continuazione( merendine, patatine, caramelle, bastoncini, fagottini ecc), ne conosce la suggestione gustativa e la enfatizza con sorprese, immagini, fantasie, logo, spot, animazioni…

Questi alimenti vengono spesso consumati più per il loro forte potere gustativo, che non per un eventuale giudizio nutrizionale su di essi e rivelano  scelte di consumo più basate su aspetti  “emotivi” ( mi piace,  lo mangio in compagnia, mi fa piacere ecc) che ” conoscitive” ( nutrienti, calorie, stato della fame ecc)!!

La pubblicità   enfatizza questi prodotti, con linguaggio persuasivo, seguendo regole di comunicazione che perseguono sopratutto  il profitto; tutto ciò, associato  alla facilità di reperimento di molti di essi, al loro costo spesso a buon mercato,   alle scarse conoscenze intorno alla loro “biodisponibilità” o  l’assorbimento che ne facciamo, la scarsa attività fisica costante che ci caratterizza, la gustosità del prodotto, la facilità di conservazione   ecc, coattivano molti altri fattori e si confluisce facilmente verso il sovrappeso che distingue gran parte della popolazione occidentale, nonostante tanto e continuo impegno  della medicina preventiva!!

La psicologia, applicata all’alimentazione,è una branca recente e, insieme alla medicina preventiva e alla scienza dell’alimentazione, propone qualche “blando” e superficiale suggerimento, per sottolineare l’importanza di  non  disgiungere  la conoscenza cognitiva dal piacere  di gustare cibi, rimettendo l’alimento al ruolo di mezzo” per la vita  e non “causa” di essa, riposizionandolo nel dovuto “posto” nelle relazioni affettive e sociali. Per  concludere, suggeriamo maggiore   senso critico verso i messaggi pubblicitari, maggiore attenzione agli stimoli della fame e a quelli della sazietà e attenzione a nutrire  non il “fantasma” che è in noi, ( il solitario, l’aggressivo, l’abbandonato, il goliardico, la  maliarda, il perdente ecc), ma  le nostre esigenze più vere, riflettendo con attenzione, non solo sulle informazioni nutrizionali, ma anche  sulla nostra personalità, le nostre relazioni, il nostro stile di vita.

Leggi anche: http://www.stefaniadeblasio.it/alimentazione-consapevole/ http://www.stefaniadeblasio.it/immagine-corporea/

Dott. De Blasio Stefania

 

Immagine corporea

Immagine corporea

L’Immagine corporea

Sempre più negli ultimi decenni l’immagine corporea ha assunto un valore quasi assolutistico in tutti gli ambiti della nostra vita.
Si crede che avendo un’immagine “idonea” si possa avere successo in tutti gli altri settori di vita che riteniamo importanti. il dato più allarmante è che dalle varie ricerche condotte a livello internazionale, è emerso che  nei Paesi più industrializzati, le bambine manifestano la paura di aumentare di peso già in tenera età (5 anni). La preoccupazione per il proprio aspetto fisico sembra raggiungere i massimi livelli tra i 10 ed i 20 anni anche se, secondo studi europei, tali preoccupazioni permangono anche col passare dell’età

Durante l’adolescenza vanno a coesistere:

a) Fattori psico-sociali. È importante, nella costruzione della rappresentazione del corpo dell’adolescente, come l’ambiente sociale circostante risponde ai mutamenti a livello corporeo e come il ragazzo interpreta tali reazioni. Non solo i genitori, ma anche il gruppo dei pari (amici, compagni di classe, ecc.) esercita un importante condizionamento in tal senso: il ragazzo, vulnerabile, tende infatti ad accettare la valutazione che il gruppo dà di lui come reale. L’adolescente costruisce un’immagine ideale del corpo esaminando il corpo degli altri, identificandosi con persone che fisicamente ammira e recependo gli input provenienti dai media in relazione alla bellezza e alla prestanza fisica. Nell’immagine di sé rientra il confronto tra la propria struttura fisica e quest’immagine ideale, confronto non diretto, ma mediato da fattori sociali.

b) Fattori psicologici interni. L’adolescenza è un periodo in cui si ha una ristrutturazione della personalità a tutti i livelli (aspirazioni, capacità di sopportare la frustrazione, stima di sé, bisogno di gratificazione, ecc.) di cui la ristrutturazione dell’immagine fisica non è che un momento. La sicurezza di sé, da questo punto di vista, è fondamentale al momento della ricerca del “nuovo se stesso”; per questo distorsioni della rappresentazione del corpo sovente rispecchiano problemi di ordine diverso (emotivi, di comportamento…).

c) consapevolezza del proprio sviluppo fisico. Nell’adolescente esiste una certa difficoltà a percepire e a accettare il proprio corpo che, spesso, viene vissuto come poco familiare a causa dei repentini cambiamenti che lo interessano. In tale situazione fenomeni transitori dello sviluppo fisico (acne, sovrappeso, ecc.) possono acquisire una forte risonanza psicologica e originare uno stato di ansia e di disagio personale. La rappresentazione del corpo nell’adolescente è una costruzione psico-sociale: il reale aspetto del corpo viene, infatti, mediato da fattori di ordine sociale, psicologico ed emotivo che ne influenzano l’interpretazione.

Differenze tra uomo e donna:

Nel sesso femminile il fenomeno è maggiormente pronunciato e una grande percentuale di donne normopeso o addirittura sottopeso (secondo gli standard antropometrici) afferma di essere insoddisfatta delle proprie dimensioni corporee.

Per gli uomini il fenomeno sembra essere meno pronunciato anche se in forte crescita.

Altro aspetto interessante emerso dai vari studi è il fraintendimento di base tra i due sessi: le donne credono che gli uomini le preferiscano più magre di quanto in realtà le desiderino e gli uomini credono che le donne diano maggiore importanza all’aspetto fisico rispetto a quella che in realtà gli viene attribuita.
Le immagini pubblicitarie definiscono una sorta di modello ideale, spesso innavicinabile, a cui ispirarsi. Questi modelli ideali influenzano molto di più l’opinione pubblica rispetto ai dati antropometrici medi della popolazione.

Questo problema, tipico dei Paesi più industrializzati si manifesta soprattutto nelle classi sociali più elevate.

L’influenza dei mass media è talmente rilevante che nelle società orientali (dove una corporeità robusta è sinonimo di salute e opulenza), l’introduzione della televisione e dei mezzi di informazione occidentali ha radicalmente cambiato, nel giro di pochi anni, i canoni dell’aspetto fisico ideale.

La rappresentazione dell’immagine corporea è un importante fattore per: autostima, rapporto con gli altri e per la percezione di se stessi nella società. Le conseguenze più gravi dei disturbi della body image possono condurre a:-anoressia/bulimia nervosa-disturbi dell’alimentazione incontrollati (B.E.D)-obesità.

Esistono poi dei rinforzi positivi o negativi derivanti ancora una volta da fattori individuali, familiari, sociali e psicologici che possono risolvere o peggiorare il problema.

Essendo così vario e ricco di elementi variabili, il fenomeno dei disturbi legati alla percezione dell’immagine corporea ha bisogno dell’intervento di numerose figure professionali (medici, nutrizionisti, psicologi, psicoterapeuti ecc…). L’attività fisica gioca in questi casi, un ruolo fondamentale, sia nella prevenzione che nella cura del problema.Nella società contemporanea l’importanza attribuita alla bellezza e alla perfezione comporta un’attenzione esasperata nei confronti delle istanze legate all’immagine corporea, la quale deve corrispondere a rigidi canoni estetici, essere scolpita in ogni sua forma, presentare un aspetto giovane e tonico ma soprattutto magro.
I dati indicano come siano in maggioranza le giovani donne a considerare in modo critico la propria immagine (la quale spesso diviene fonte di disagio e di insoddisfazione), a sottoporsi costantemente a diete restrittive prediligendo cibi considerati “leggeri” e quindi innocui per la propria salute fisica, oppure a ricorrere alla chirurgia plastica per modificare il proprio aspetto. In particolare le ricerche mostrano come vi siano alcuni fattori tenuti in grande considerazione, molti dei quali provenienti, o amplificati, dal sistema massmediale: le icone della moda e dello spettacolo, l’alimentazione, l’immagine esteriore e la taglia dell’abito da indossare. La rappresentazione mentale del proprio corpo include componenti personali e sociali ed è in grado di influenzare comportamenti, emozioni e sentimenti e in particolare la propria autostima. Gli stereotipi sociali quotidianamente ci danno delle indicazioni su cosa è appropriato, gradevole o anche solo soddisfacente. Non essere in grado di avvicinarsi a determinati standard può determinare un aumento della propria insoddisfazione, un sentimento di inadeguatezza del proprio corpo. Lo scarto tra come si dovrebbe o vorrebbe essere e come si pensa di essere sfocia in uno stato di ansia che nel tempo può minare l’autostima e la capacità di affrontare il mondo. Questo processo è più forte e le sue conseguenze sono maggiori quando il soggetto presenta uno stato di fragilità psicologica.

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Dott. De Blasio Stefania

 

 

Alimentazione Consapevole

Alimentazione Consapevole

Cosa vuole dire alimentazione consapevole?

Mangiare è considerato uno dei piaceri della vita, ma “mangiare bene” non significa solo saziarsi. Consumare cibi buoni e di qualità in un ambiente amichevole, mangiare un po’ di tutto ma in quantità adeguate è infatti altrettanto importante.

L’equilibrio alimentare non si costruisce su un unico pasto o su un unico giorno ma piuttosto su una continuità settimanale. Non esistono cibi “proibiti” come neanche cibi “miracolosi”, anche se ovviamente alcuni alimenti sono considerati più salutari (come la frutta, la verdura, i farinacei, il pesce) e altri meno (come i cibi zuccherati o troppo salati, le carni rosse, i grassi di origine animale).

 “Variazioni” sul tema

Se “mangiar sano” ti fa venire in mente tutti gli alimenti che non puoi mangiare, prova a re-inquadrare il problema pensando a tutti i nuovi cibi che puoi provare. Inizia con qualche frutto esotico, cerca di creare versioni più salutari di piatti che in partenza non lo sono (per esempio cucinando al forno pietanze che generalmente si friggono), aggiungi qualche aroma naturale a piatti che ti sembrano insipidi (per esempio un po’ di rosmarino nelle verdure al vapore o grigliate).

Ricorda che non è necessario rinunciare ai propri cibi preferiti. Mangiare sano è questione di equilibrio. Si possono mangiare tutte le pietanze, anche se caloriche, grasse e zuccherate. L’importante è mangiarle una volta ogni tanto, in minore quantità, bilanciarle con cibi salutari e con un po’ più di esercizio fisico. L’essenziale è costruire i propri pasti in modo bilanciato e non digiunare. Se per esempio in qualche occasione si esagera un po’, si può compensare con pasti più leggeri nei giorni successivi. Infine, evita le diete “fai da te” e rivolgiti al tuo medico di fiducia per qualche consiglio su come mangiare meglio. Ricordati che oggi non si parla più di diete, ma di linee di corretta alimentazione e di stili di vita salutari.

L’importanza dei pasti I nutrizionisti raccomandano di fare 3 pasti al giorno: colazione, pranzo, cena. A questi si può aggiungere uno spuntino, consigliato soprattutto per bambini, anziani o semplicemente quando si ha fame.

I pasti scandiscono la nostra giornata e danno al corpo dei punti di riferimento che ci aiutano a regolare meglio l’assunzione di cibo. Da qui l’importanza di non saltare i pasti: infatti, saltandone uno il nostro organismo tenderà a rifarsi al pasto successivo e a mangiare di più per prevenire un eventuale stimolo di fame.

Anche il tempo necessario per consumare il pasto è importante. In effetti, il nostro cervello ha bisogno di tempo per ricevere i segnali dallo stomaco, quei segnali che gli permettono di capire che stiamo effettivamente mangiando. Si dice che devono trascorrere circa 20 minuti prima che si arrivi a percepire che abbiamo mangiato abbastanza vera e propria pausa è, oltre che utile al proprio equilibrio alimentare, anche un modo per inserire momenti di relax e di maggiore tranquillità. Riunirsi con familiari o amici per un pasto, mette nella condizione di apprezzare maggiormente ciò che mangiamo. Fin dalla tenera età, il pasto è un momento chiave per assimilare sane abitudini alimentari, norme igieniche e regole di vita sociale.

Più nello specifico: emozioni e cibo

Il cibo non è mai stato solo uno strumento attraverso il quale soddisfare il bisogno primario della fame, ma ha sempre avuto, in ogni epoca e in ogni luogo, numerosi altri significati.Rappresenta infatti:

  • uno strumento di relazione con gli altri individui;
  • una modalità di esprimere i sentimenti;
  • un’espressione religiosa.

Il rapporto fra emotività, alimentazione e perdita di peso gioca un ruolo chiave nella gestione del problema del sovrappeso e dell’obesità

Fame nervosa o Emotional eating

Spesso nella vita quotidiana può capitare di provare emozioni negative come rabbia, tristezza o ansia. Di fronte a queste ci possiamo sentire impotenti e vulnerabili.

Talvolta l’abbuffata o un’alimentazione incontrollata possono diventare un vero e proprio comportamento di gestione delle emozioni negative. Anche se l’abbuffata induce, a breve termine, effimere sensazioni di benessere, favorisce tuttavia l’insorgere di emozioni dolorose come vergogna, colpa, rabbia o tristezza. Queste emozioni a loro volta possono di nuovo facilitare l’assunzione di comportamenti alimentari dis-regolati. Si crea così un vero e proprio circolo vizioso che contribuisce ad un peggioramento dell’umore, diminuisce l’autostima, abbassa la qualità della vita e, soprattutto, determina un notevole aumento di peso.

L’alimentazione può diventare quindi uno strumento di regolazione delle emozioni; in altre parole si tende a mangiare in modo inappropriato per i seguenti motivi:

per noia (molti pazienti assumono cibo perchè si annoiano
per ansia – tensione – stress (molte persone conferiscono al cibo un ruolo di sollievo momentaneo dai pensieri, il mangiare diventa una fonte di occupazione);

per solitudine – tristezza(si mangia per compensare la malinconia di un momento come se il cibo potesse colmare il nostro vuoto interiore. Il cibo acquisisce così la funzione di un farmaco anestetico con lo scopo di ridurre il malessere emotivo);

per rabbia (verso se stessi e verso il contesto sociale discriminante);

per vergogna. 

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